domenica 11 dicembre 2016

Captain Fantastic e il grande Chomsky



"Preferisci festeggiare un elfo dalle orecchie a punta o il più grande filosofo vivente?”


TITOLO ORIGINALE: Captain Fantastic
GENERE: commedia / drammatico / sentimentale
NAZIONE: Stati Uniti
REGIA: Matt Ross
CAST: Viggo Mortensen, Kathryn Hahn, Steve Zahn, Erin Moriarty, Frank Langella,
DISTRIBUZIONE: Good Films
DURATA: 118 min.
USCITA IN ITALIA: mercoledì 7 dicembre 2016

Prendete le dinamiche di una famiglia sui generis raccontate da vicino: un pater familias d’eccezione, il grande Viggo Mortensen, cresce i suoi sei figli isolato dal mondo, in una tranquilla foresta nel Pacific Northwest.

Aggiungeteci una connessione primordiale con la natura e un’educazione anticonformista che mette assieme, con una disciplina ferrea, Chomsky, Bach e un un allenamento fisico e intellettivo molto impegnativo. I membri di questa tribù si procurano il cibo uccidendo animali all'arma bianca, parlano sette lingue, seguono corsi autogestiti di fisica quantistica, disquisiscono di storia e filosofia, così come anche di morte, sesso e malattia.

Il loro nume tutelare è Noam Chomsky, il filosofo e linguista anarchico di cui celebrano il compleanno al posto del Natale, il Noam Chomsky Day: «Meglio lui di un elfo che non esiste».

Addizionando questi fattori otterrete un microcosmo perfettamente autosufficiente, lo stesso ricreato da papà Ben per cercare di sottrarre la sua cucciolata a tutte le forme di propaganda e asservimento imposte dalla struttura sociale.

Il confronto con il mondo reale, fatto di pericoli ed emozioni sconosciuti, si renderà però necessario, loro malgrado, per cercare di evitare che il padre di lei celebri un funerale cristiano per la loro moglie-madre appena morta dopo mesi di ricovero per una grave forma di psicosi.

La famigliola partirà così in viaggio verso la residenza dei nonni paterni, in New Mexico, per pretendere il rispetto delle sue ultime volontà espresse nel testamento, in cui lei ribadiva di essere buddista e di voler essere cremata.

Ma, una volta a contatto con una realtà diversa e con i propri coetanei, i ragazzi conosceranno desideri e sofferenze, e le loro certezze, come anche quelle del padre, cominceranno a vacillare. Ben sarà quindi costretto a mettere in dubbio il suo metodo educativo e a rivedere i propri ideali intellettuali isolazionisti, in un percorso fisico, ma anche interiore, di confronto con il conformismo quotidiano.

Tutto questo è Captain Fantastic, opera seconda e in parte autobiografica dell'attore e regista Matt Ross; una dramedy originale e ideologica, premiata a Cannes e alla scorsa Festa del Cinema di Roma, che ha il pregio di emozionare, far riflettere e divertire.

Un road movie che richiama un po' Little Miss Sunshine o i colori dei film di Wes Anderson, un soffio di aria fresca in cui, grazie alla sua scrittura brillante, Matt Ross mette a nudo con umorismo le esagerazioni dei protagonisti, pur senza mai giudicarle.

Assolutamente da vedere, non foss'altro per la gagliarda prestanza fisica dimostrata da Viggo Mortensen nella scena di nudo integrale.

domenica 13 novembre 2016

Genius: tra genio, rigore e sregolatezza



Titolo originale: Genius
Regia: Michael Grandage
Attori principali: Colin Firth, Jude Law, Nicole Kidman, Laura Linney, Guy Pearce
Genere: Drammatico
Durata: 104 min.



Genius mi è capitato, quasi per caso, mentre ero alla ricerca di un film godibile per la serata Cinema2Day e, a conti fatti, devo dire che l'ora di coda per parcheggiare e recuperare un biglietto ne è valsa la pena.

Opera prima di Michael Grandage, regista teatrale di successo, il film è incentrato sulla relazione tra il posato editor Max Perkins (Colin Firth) e l’esuberante scrittore Thomas Wolfe (Jude Law) e si basa sulla biografia "Max Perkins: Editor of Genius" di A. Scott Berg.

Siamo in una prolifica New York della fine degli Anni Venti, quando la Charles Scribner’s Sons era già una notissima casa editrice.
Dopo una lunga collezione di rifiuti ai suoi manoscritti, il 2 gennaio 1929 Wolfe, poco più che trentenne, entra per la prima volta nell'ufficio di Perkins, il curatore editoriale principale della casa editrice Scribner's Son.
In mano ha un manoscritto che Perkins leggerà tutto d'un fiato.

È così che si incontrano per la prima volta due grandi genius.
Il primo, caratterizzato da un'esuberanza al limite dell'irritante, una personalità instabile ed egocentrica, con una carica di genialità creativa e di energia considerevole. Un uomo del tutto incapace di mantenere legami di alcun genere e inconsciamente alla ricerca di un sostituto della figura paterna prematuramente scomparsa. La ritroverà in Perkins, editor ispirato e visionario, così come anche misurato e sempre in equilibrio tra leggerezza e serietà, con alle spalle scoperta e lancio di veri mostri sacri della letteratura mondiale del calibro di Francis Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway.

L’intuito e il fascino ribelle di quella prosa spingono Perkins a puntare sul manoscritto di quel ventenne dalla penna incontenibile, fino ad arrivare ad adottarlo letteralmente e letterariamente e a guidarlo per mano lungo la strada del successo, l'uno complementare all'altro. Wolfe era l’animo avventuroso, sovraeccitato e debordante che il metodico e controllato editore sognava di essere sfogliando libri. Perkins, di contro, era la spalla paterna, rassicurante e misurata per un giovane con deliri di creatività.

Inizia così un sodalizio artistico durato circa un decennio in cui i due lavorarono gomito a gomito per adattare agli standard editoriali dell’epoca le migliaia di pagine del giovanissimo autore e dare vita così a grandi opere come Look Homeward, Angel (1929) e Of Time and the River (1935).

Una pellicola biografica quindi, che racconta in maniera originale la storia di un’amicizia importante, entrando dentro l'intimità del testo e sapendone cogliere le potenzialità, nonché le fragilità. Un singolare rapporto di amicizia paterno-filiale così intenso da rendere gelose le donne della loro vita e da spingere Wolfe a dedicare a Perkins Il fiume e il tempo.

E infatti nel cast troviamo anche una bellissima Nicole Kidman, nei panni di Aline Bernstein, amante di Wolfe a cui lui dedicò molte poesie e libri. Anche qui un rapporto un po' atipico e doloroso, lei già sposata, lui che non vedeva oltre i suoi versi, costantemente immerso nella letteratura.

Un film diretto con tocco classico ma sicuro in cui Grandage ha saputo far emergere la visceralità dei protagonisti, portando alla ribalta l'universo interiore dei personaggi in grado di arrivare subito al cuore degli spettatori. Un film che ha avuto il merito di puntare l'attenzione sulla figura dell'editor nel mondo dell'editoria, mettendo in luce il funzionamento della pubblicazione letteraria

Insomma una bella storia, un bellissimo cast, costumi da sogno, la stessa produzione eccellente di Il discorso del re, anche se, ahimè, un film tanto filologico quanto poco appassionante.
Da vedere, comunque.

mercoledì 9 novembre 2016

Il condominio dei cuori infranti



Regia: Samuel Benchetrit
Attori principali: Isabelle Huppert, Gustave Kervern, Valeria Bruni Tedeschi, Tassadit Mandi, Jules Benchetrit.
Titolo originale: Asphalte
Genere: Commedia drammatica
Durata 100 min.
Uscita giovedì 24 marzo 2016.



Particolare ridicolo e prezioso. È il quinto film di Samuel Benchetrit,una sorta di parabola umanista sulla solitudine contemporanea.

Iniziamo dal titolo così ci togliamo il dente e, via il dente via il dolore.
Il condominio dei cuori infranti. Ma perché?
Perché la scelta di un titolo così smielato e fuorviante se Aspalthe è il nome in lingua originale del secondo film di Samuel Benchetrit?
Perché sminuire una parabola umanista surreale e seriamente ironica facendo pensare ad una semplice commediola romantico-sentimentale?
Mah, sono scelte che mi lasciano un po' perplessa.

Rimane il fatto che Il condominio dei cuori infranti mi ha davvero sorpresa, un film di un'umanita inattesa, che narra della solitudine contemporanea, un film che dice senza dire.
A partire dall'ambientazione, un condominio ingrigito della banlieue parigina, in una delle città-satellite che circondano Parigi e ne costituiscono l'antitesi, nel bene e nel male.
Qui, sotto un cielo coperto e incolore, assistiamo a tre cadute da cui tre personaggi coinvolti si riprenderanno solo grazie all'aiuto di altri.

A cominciare da quella di John Mckenzie, un astronauta americano finito fuori rotta, che atterra con la sua navicella sul tetto del condominio.
Il suo arrivo sorprende in primis i due ragazzini che si erano rifugiati proprio su quel tetto per fuarsi uno spinello e, in secondo luogo madame Hamida, una donna marocchina che lo accoglie in casa propria in attesa che la NASA lo riconduca a casa, accudendolo come un figlio e nutrendolo di amore e cous cous.

Intanto, qualche piano sotto, Jeanne Meyer, la nuova condomina con un passato da attrice rimane chiusa fuori dalla porta, e anche dalla propria vita. In questo caso sarà Charly a soccorrerla: un bel ragazzino nel pieno di un'adolescenza complicata dalla costante assenza della madre.

E infine, il mio preferito, Sternkowtiz, messo ko da cento chilometri di cyclette e da una disastrosa riunione condominiale, che si spaccia per fotografo per fare colpo su un'infermiera di notte.

Tre cadute che troveranno nell'altro una ragione: John infilerà la via di casa a colpi di affetto e di cuscus, Sternkowtiz scoprirà l'amore con l'infermiera lunare, Charly supplirà la madre con Jeanne e Jeanne ritroverà le energie creative negli occhi di Charly.

Un film in cui Benchetrit, scrittore e regista, mette in scena le banlieue della sua infanzia utilizzando più linee narrative intrecciate insieme, con un registro ironico e surreale, spogliato di qualsiasi sentimentalismo, ispirandosi a due racconti del suo Chroniques de l'asphalte.

L'uso di inquadrature fisse e di pochi movimenti di macchina, insieme alla semplicità della progressione narrativa, contribuiscono poi a creare quella fluidità sognante del racconto che rende Il condominio dei cuori infranti un film caratterizzato da un' irreale leggerezza in grado di trasformare a in poesia la banalità del quotidiano. E' magia!

martedì 4 ottobre 2016

Nick Cave, One More Time With Feeling

"Qualcuno deve cantare le stelle, qualcuno deve cantare la pioggia, qualcuno deve cantare il dolore, qualcuno deve cantare il sangue". Nick Cave


Quest'anno sul grande schermo di Venezia 73 c'era anche lui, Nick Cave, uno dei miei più grandi miti viventi, in qualità di assoluto protagonista di One More Time With Feeling, un tributo live diventato prima un'intervista, poi un documentario e poi qualcosa più vicino a un film in 3D.

Un documentario musicale di Andrew Dominik (il regista di L’assassinio di Jesse James, Cogan e Killing Them Softly), che, con la scusa di raccontare come è nato Skeleton Tree, l'ultimo album di Nick Cave and The Bad Seeds, tira fuori da Nick tutta la sofferenza e il nonsenso seguiti alla tragica scomparsa di uno dei figli gemelli dell'artista, Arthur, avvenuta nell'estate del 2015, proprio a metà registrazione di Skeleton Tree.

Ma giustificare e dare un senso alla morte di un figlio quindicenne, precipitato da un'alta scogliera presso Brighton dopo essersi sporto troppo, richiede tempo e coraggio, occupa le giornate, la mente, pervade ogni attività, ogni singolo minuscolo frammento di tempo.
Per questo, quello che inizialmente era stato pensato come un tributo ai The Bad Seeds e al loro nuovo album si è trasformato necessariamente in una personale discesa nell'oscurità che ha commosso Venezia. E anche me. Sarà per il bianco e nero e il 3D rivelatore o più semplicemente sarà per le parole, i pensieri e le canzoni di Nick Cave.
Un Cave che, più che come profeta contemporaneo, in One More Time With Feeling viene rappresentato come un padre, un padre che sta elaborando il lutto dopo aver perso il proprio figlio.

Eppure,  nel lungometraggio queste considerazioni fanno da sfondo alla nascita del nuovo album, un album dai testi cupi e profetici, perché, d'altro canto, "qualcuno deve cantare le stelle, qualcuno deve cantare la pioggia, qualcuno deve cantare il dolore, qualcuno deve cantare il sangue" e Cave non è solo un padre, ma anche un artista con un rapporto tra trauma e creazione da risolvere.

Un film-performance raffinato, dallo stile fotografico, girato in bianco e nero, a colori e in 3D, che, tra performance live delle nuove canzoni e interviste e riprese di Dominik, riflette bene l'intimità e l'austerità di una delle icone rock del pianeta.

Certo, il risultato è molto diverso dal capolavoro di due anni fa, 20.000 giorni sulla terra di Iain Forsyth e Jane Pollard, ma il progetto registico di Andrew Dominik merita comunque un applauso, non fosse altro per la riverenza e il tatto con cui il regista approccia l'ex fidanzato di sua moglie.

E un applauso a Nexo Digital, che sta portando nelle sale Italiane molti bei film/documentari che vale davvero la pena vedere. Stay tuned!

domenica 18 settembre 2016

Si dice Mashable Social Media Day, si scrive #SMDAYIT




Conoscete gia' Mashable?
Per chi si occupa di marketing, digital e social media, la risposta è ovvia: con una media che va oltre i 30 milioni di visualizzazioni mensili, Mashable è oggi il terzo blog più popolare al mondo.
E proprio il 21 e 22 ottobre, a Milano, Mashable ripropone la terza edizione del Mashable Social Media Day 2016, l’evento per eccellenza che celebra la rivoluzione digitale e le potenzialità dei social network.
Due giornate di aggiornamento e formazione all’insegna dell’innovazione, per imparare, confrontarsi e migliorarsi osservando da vicino le best pratice presentate da professionisti del settore di alto livello, tra cui Giuseppe Brugnone (Digital e Social Media Manager di LEGO Italia) e Carlo Rinaldi (Social Media Marketing Lead di Microsoft Italia).
Questi i temi dell’edizione italiana ufficiale #SMDAYIT:
  • Social Media
  • Business
  • Marketing
  • Digital Strategy
  • UX Design
  • Open Innovation
  • Tech
  • Mobile
  • Start up
Un ottimo modo per capire qual è la differenza tra contenuti di valore e “fuffa”, per imparare prendendo spunto dalle strategie concrete e dai case study che verranno presentati.
E i risultati ottenuti dall’edizione 2015 del Mashable #SMDAYIT sembrano confermarlo: oltre 5.500 contatti sul sito e oltre 600 partecipanti in sala, con 4.500 connessi live in streaming.
A collaborare alla buona riuscita dell’evento in qualità di media partner c’è anche Your Brand Camp, la piattaforma di marketing collaborativo col pallino del “marketing della conversazione”: costruendo reali interazioni tra brand e influencer nasce un nuovo modo di fare pubblicità.
E proprio da questa collaborazione tra Mashable e YBC nasce la possibilità di partecipare all’evento di Milano usufruendo dello sconto del 50% sul prezzo del biglietto! Non perdete l’occasione!



venerdì 9 settembre 2016

Suicide Squad: quando anche i cattivi possono combinare qualcosa di buono


Per quanto mi riguarda, pollice su per Suicide Squad, l'ultimo capitolo del DC Extended Universe, uno dei più importanti media franchise americani di fumetti.

Un gran successo di pubblico quindi, anche se non di critica, per il cinecomic diretto da David Ayer, sulle poco raccomandabili figure dei cattivi di DC, tutte raccolte in una task force col difficile compito di salvare il mondo minacciato da entità dai poteri sovraumani.



Premesso che ho deciso di astenermi sui commenti riguardanti la trama del film, un po' perché questo non è il mio cinema e non sono né appassionata né esperta del genere, ho tantissimo da dire invece sui personaggi, sia sui supercriminali "buoni", sia sull’unico vero e proprio big bad della storia.

Sto parlando di Amanda Waller (Viola Davis), un agente governativo pronto a tutto per garantire la sicurezza nazionale e a capo dell'A.R.G.U.S., un'organizzazione creata proprio per sventare minacce metaumane. Un personaggio scomodo, la cinicità fatta persona per intenderci, che proporrà ai massimi esponenti dell'intelligence americana di costruire la Task Force X, una squadra di criminali al momento assicurati alla giustizia, selezionati con cura per le loro insolite capacità al limite delle possibilità umane, i soli in grado di salvare gli Stati Uniti dalla minaccia di un attacco terroristico.

A questo punto la domanda nasce spontanea: come incentivarli e convincerli a collaborare l’uno con l’altro?
Se gli sconti di pena potrebbero non bastare per elementi con ergastoli da scontare, un esplosivo impiantato nel collo pronto a esplodere in caso di fughe varie potrebbe avere maggiore efficacia.

L’utilità di questa complicata operazione? In primo luogo, lo squadrone di cattivoni, grazie alle speciali abilità e ai super poteri dei suoi membri, ha più possibilità di vittoria in caso di scontri con metaumani. Senza contare poi l'importante fattore della negabilità, per cui in caso di esito negativo del progetto le colpe anziché ricadere sul Governo, verrebbero imputate alla Suicide Squad.

E, così facendo, chi per un motivo, chi per un altro, si finisce tutti per tifare per questi suggestivi criminali, anche perché i loro disturbi di personalità e le loro debolezze rivelano un lato umano che li rende più dei ragazzacci indisciplinati molto simili a noi, oltre che vulnerabili.

Prendiamo ad esempio Deadshot (Will Smith), il cecchino dalla mira infallibile ma dall'animo gentile. Un eroe travagliato e combattuto che porta sempre nel cuore la figlioletta Zoe e il sogno di essere un buon padre per lei.

Per non parlare dell'ex-psichiatra Harley Quinn (Margot Robbie), che nel film rappresenta la follia pura intrappolata in un personaggio: instabile, ammaliatrice, innamorata del malefico Joker, e, ovviamente, bellissima.
Pazzia a parte, anche lei si rivelerà un'eroina in bilico tra la cultura post punk, goth, e emo.

Abbiamo poi El Diablo (Jay Hernandez), un personaggio dotato di poteri incendiari che si era ripromesso di non usare più, dopo aver perso il controllo e aver sterminato la propria famiglia (figlioletti compresi).

E l'orribile ma simpatico Killer Croc (Adewale Akinnuoye-Agbaje) che, a causa di una rara malattia, ha la pelle come quella di un rettile.

Captain Boomerang (Jay Courtney), è invece un ladro australiano che utilizza un boomerang, per l'appunto, come arma, mentre Slipknot (Adam Beach) è un escapista capace di utilizzare qualsiasi arma.

E finalmente un'altra donna, Katana (Karen Fukuhara), spadaccina giapponese sempre in compagnia della sua spada magica Soultaker.

A coordinare e dirigere il tutto c'è Rick Flag (Joel Kinnaman), buono e bello ma, per farla breve, molto sfigato, a testimoniare che in occasioni simili non c'è differenza fra eroi e criminali. Il capitano è fidanzato con June Moon, un’archeologa posseduta da un'ancestrale entità malvagia nota come l’Incantatrice (Cara Delevigne) che ha involontariamente risvegliato.

Due paroline anche sul Joker di Jared Leto, un personaggio che mi ha incuriosito parecchio, anche se il suo ruolo nel film è stato molto breve e molto difficile, viste le precedenti autorevoli messe inscena dello stesso personaggio da parte di attori del calibro di Jack Nicholson e Heath Ledger. Un Joker più glamour il suo, più gangster, in una veste totalmente inedita che non ha nulla da togliere alle trasposizioni precedenti, tenendo anche conto del fatto che, leggenda vuole, per interpretare il personaggio per tutto il periodo delle riprese, sia dentro che fuori il set, abbia continuato a recitare il ruolo di Joker.

Peccato solo che compaia poco nel film (apiena in 15 minuti dei 130 minuti totali), tanto che sono in molti ad aver accusato la Warner Bros di presa in giro, per aver tagliato gran parte delle scene che lo vedevano coinvolto dopo aver spinto molto sulla sua presenza.

Un cast ampio e variegato insomma, che ha lavorato molto sull'interpretazione e sulla caratterizzazione dei personaggi, pur giurando eterna fedeltà ai personaggi DC.

E anche il film in se stesso risponde in tutto e per tutto allo “stile DC”, molto fumettistico e molto videogame, pieno di colori desaturati, atmosfere livide, rumori e abbondanza di scene notturne.

Per ultimo, un accenno alla colonna sonora, davvero interessante (e costosa) che include, tra gli altri, Fortunate Son dei Creedence Clearwater Revival e Bohemian Rapsody in versione Panic! At The Disco.

In conclusione, un film piacevole e godibile grazie alle interpretazioni fornite da quasi tutto il cast, che vi faranno divertire e appassionare ma dove non sarà possibile trovare niente di più che il puro intrattenimento. Siatene consapevoli e buona visione.

E rimanete al vostro posto durante i titoli di coda…

domenica 24 luglio 2016

Stranger things e la nostalgia che funziona

"È il racconto di tanti noi stessi che vengono a cercarci, a cercare di salvarci dal nostro mondo." 
(Federico Gironi, articolo su comingsoon.it)




Titolo: Stranger Things

Paese: Stati Uniti d'America
Anno di uscita: 2016 – in produzione
Formato: serie TV
Genere: fantascienza, soprannaturale, horror, thriller
Stagioni: 1
Episodi: 8
Interpreti principali: Winona Ryder, David Harbour, Finn Wolfhard, Millie Bobby Brown, Gaten Matarazzo, Caleb McLaughlin, Natalia Dyer, Charlie Heaton, Cara Buono, Matthew Modine



Emozionante, straziante, e talvolta spaventosa, una storia paurosa e dolce allo stesso tempo.


Pensata dai "The Duffer Brothers" (Matt e Ross Duffer) come «una lettera d'amore ai classici degli anni ottanta che hanno affascinato una generazione», Stranger Things è, a tutti gli effetti, una serie televisiva statunitense di fantascienza che stimola l'immaginazione e il desiderio di avventura del pubblico puntando sulle sensazioni generate dai classici del cinema e della letteratura fantastica degli anni ottanta, quali le opere di Steven Spielberg e John Carpenter o i romanzi di Stephen King.

Il risultato? Una serie "citazionista" composta da scampoli di film come I Goonies, E.T. l'extra-terrestre, Stand by Me - Ricordo di un'estate, La cosa e A Nightmare on Elm Street, un'appassionante celebrazione della nostalgia verso la televisione vintage degli anni ottanta, proprio per questo maggiormente apprezzabile dai trentenni del 2016 che con quei film si sono emozionati e sono cresciuti.


In realtà, inizialmente, i Duffer Brothers avevano pensato di chiamare la serie Montauk, dall'omonima località nei pressi di East Hampton (nella costa meridionale di Long Island) dove erano intenzionati ad ambientarla ambendo a riprodurre un'ambientazione simile a quella dell'Isola di Amity di Lo squalo. In un secondo momento però, i due ideatori, già autori e registi del film thriller Hidden, hanno scelto come sfondo degli eventi una fittizia piccola città in Indiana.

E infatti, la prima serie è incentrata sugli eventi legati alla misteriosa sparizione di un bambino e all'apparizione di una ragazza dotata di poteri telecinetici fuggita da un laboratorio segreto.



Siamo a Hawkins, una remota e tranquilla cittadina dell'Indiana, all'inizio dell'inverno del 1983. Will Byers, un dodicenne della zona, sparisce misteriosamente e il mistero si infittisce ulteriormente quando sua madre, Joyce, comincia a vivere bizzarre esperienze soprannaturali nella propria casa.

Intanto "Undici", una stramba ragazzina con il numero 11 tatuato sul suo braccio, fugge da Hawkins, un laboratorio segreto situato nei dintorni della stessa cittadina, approfittando della confusione generata da un incidente capitato a un ricercatore che è stato vittima di un'inquietante creatura.


Nel corso della sua fuga si imbatterà in un gruppo di ragazzini, i tre migliori amici di Will, Mike, Dustin e Lucas. Insieme seguiranno le tracce del compagno svanito nel nulla.

Comunque Stranger Things è stata accolta positivamente dalla critica. Sarà per la caratterizzazione dei personaggi, il cast e l'atmosfera che richiama alla memoria il cinema fantastico degli anni ottanta.


La prima stagione, caratterizzata da una trama autoconclusiva, è stata pubblicata su Netflix il 15 luglio 2016, in tutti i paesi in cui il servizio è disponibile. I Duffer Brothers hanno parlato di un'altra stagione successiva, più come sequel che altro, in cui si possa esplorare meglio la mitologia della serie e approfondire gli sviluppi delle vite dei protagonisti.


In questo senso, Stranger Things incarna un nuovo formato narrativo Netflix che va oltre la semplice serie o miniserie, per diventare un vero e proprio film a capitoli che è impossibile smettere di guardare. Una sorta di escamotage usato per poter azzardare quella distensione del racconto che nel cinema di oggi non ci si può più permettere.



In più, una colonna sonora fatta per lo più di musica elettronica (che rievoca bene la musica degli anni ottanta), con musiche originali composte da Michael Stein e Kyle Dixon, ex membri di una band synth chiamata Survive, ma anche con vari brani rock degli anni settanta e ottanta, tra cui Should I Stay or Should I Go dei The Clash, She Has Funny Cars e White Rabbit dei Jefferson Airplane, Heroes di David Bowie, o ancora Atmosphere dei Joy Division.

A fare tutto il resto è un cast eccezionale, in cui ogni volto è stato scelto con cura incredibile per trasmettere quel misto di innocenza, cameratismo, sarcasmo e paura. Prima fra tutti la mia eroina anni ottanta e novanta Winona Ryder, per la prima volta protagonista in una serie televisiva.


Chiudo qui: non posso dire di più per non rovinare la sorpresa...e perché sennò mio fratello (che non l'ha ancora finito di vedere) questa volta mi ammazza veramente!




domenica 10 luglio 2016

Educazione affettiva: pronti a tornare nuovamente bambini?


Regia: Federico Bondi e Clemente Bicocchi
Soggetto e Sceneggiatura: Federico Bondi e Clemente Bicocchi in collaborazione con Matteo Bianchini, Graziano Giachi, Letizia Franciolini, Paolo Scopetani
Prodotto da: Enzo Coluccio e Egidio Artaria


«Penso troppo al futuro, e perciò, essendo una bambina di V elementare, il mio futuro sono le medie e il liceo. Mio babbo mi dice sempre di pensare al presente, ma io non ci riesco e non so neanche perché. In questi giorni sento dire cose che mi preoccupano, come "bocciature"... Perché a me? Perché a me? Non voglio andare nel futuro!»
(da un tema in classe di Giulia)





Migliaia di spettatori in tutta Italia si sono emozionati vedendo Educazione affettiva.


Ora grazie a Movieday, prima piattaforma italiana di cinema on demand, sta arrivando anche nelle vostre città: pronti a tornare nuovamente bambini?

Basta prenotare subito il biglietto.


mercoledì 6 luglio 2016

I 99 Posse e la pixel art di Supertotto



A quasi cinque anni dalla pubblicazione di Cattivi guaglioni, i 99 Posse sono tornati con un nuovo album (Il Tempo. Le Parole. Il Suono., uscito ad aprile per A1 Entertainment) e, soprattutto, con un nuovo video molto interessante.

Per Va bene, un estratto di questo album, la band napoletana ha pensato a un video di Pixel Art realizzato da un altro “illustre” napoletano (residente a Berlino, però!), l’artista Supertotto, uno dei massimi esponenti della Pixel Art, famoso per le sue opere prettamente videoludiche in cui si nascondono una quantità infinita di minuscoli e preziosi dettagli e che richiamano palesemente le grafiche anni Ottanta dei videogiochi.

E ci pace tanto!


giovedì 16 giugno 2016

Truth e la riscoperta del cinema d’inchiesta




Titolo: Truth – Il prezzo della verità
Regia: James Vanderbilt
Genere: cinema d'inchiesta
Sceneggiatura: James Vanderbilt
Fotografia: Mandy Walker
Musica: Brian Tyler
Interpreti: Robert Redford, Cate Blanchett, Topher Grace, Dennis Quaid, Elizabeth Moss
Paese: Usa, 2015
Durata: 121 minuti



In una serata estiva una passeggiatina dopocena con gelato incluso non fa mai male. Se poi passi davanti al cinema e vedi che c'è un film interessante ancora meglio. Se poi il film interessante non è ancora iniziato ma è lì lì per cominciare allora sei proprio fortunato!

È' stato così, per caso, che ho conosciuto James Vanderbilt, già sceneggiatore di Zodiac e The Amazing Spiderman, al suo esordio alla regia con il film Truth – Il prezzo della verità.

Si tratta di una pellicola sul e di giornalismo d'inchiesta, che, riprendendo un filone recentemente riscoperto da Hollywood sulla scia de Il caso Spotlight, racconta con dinamismo il primo fallimento del giornalismo degli anni 2000. Una storia vera quindi, tratta dall’auto-biografia Truth and Duty: The Press, the President, and the Privilege of Power della (ex) giornalista della CBS Mary Mapes, premio Peabody per l’inchiesta sulle torture dell’esercito statunitense inflitte ai prigionieri ad Abu Ghrai, Iraq.

Siamo nel 2005 e Mary Mapes (Cate Blanchett), giornalista e produttrice televisiva della trasmissione 60 Minutes della CBS, che già vantava servizi giornalistici di enorme rilievo, manda in onda lo scoop portato alla luce dal suo team di lavoro sul caso noto come Rathergate, secondo cui l'ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush (allora in campagna elettorale contro John Kerry) avrebbe disertato il suo incarico da pilota nella Guardia Nazionale Aerea durante la guerra nel Vietnam. La notizia viene però subito messa in discussione sulla base di piccoli cavilli ingigantiti appositamente per smentire l'attendibiltà delle fonti e la veridicità dei documenti portati a testimonianza e affossare così il tema centrale della notizia riportata.

Vanderbilt costruisce la storia in crescendo, seguendo, passo dopo passo, gli sviluppi e le scoperte del team di giornalisti, fino al licenziamento della Mape, che, pur rivelandosi una giornalista forte e combattiva, disposta alle sfide più feroci pur di difendere la sua causa, non può fare niente contro le decisioni che vengono dall'alto. La stessa sorte tocca al suo stesso gruppo di lavoro, affiatato ma variegato di personalità, mentre l’anchor man Dan Rather (Robert Redford) presenterà le proprie dimissioni.

E dietro tutti questi eventi narrati emerge, in modo neanche troppo celato, l'interessante rapporto tra politica e giornalismo: il potere della stampa e la consapevolezza che la forza mediatica può possedere la forza distruttrice di un ordigno.

Una regia molto essenziale, di fattura televisiva (che in questo caso ci può anche stare visto che il tema affrontato riguarda proprio tv e media), per un film affascinante, in grado di coinvolgere e lasciare col fiato sospeso, anche grazie al contributo della Blanchett: ogni emozione passa per l'intensità espressiva del suo volto e per la sua voce, soprattutto quando la Mapes si trova davanti alla commissione a rispondere del suo lavoro.

Ottimo anche Robert Redford che troviamo nel film in una versione invecchiata che non toglie niente alla classe e al carisma che rimangono ineguagliabili.

Ma il finale amaro della vicenda ha anche il merito di inquadrare un momento storico cruciale per la storia del giornalismo vissuto nel passaggio dai media tradizionali ai nuovi media digitali, quello della perdita dell’informazione, sia binaria che reale, sollevando Interrogativi sul mondo dell’informazione e su un approccio professionale che, ancora oggi, si scontra con un sistema di potere per il quale la verità non è mai univoca.

E allora, per dirla con le parole di Rather, “Coraggio!”.

domenica 12 giugno 2016

Che tu sia per me il coltello, quando la parola è tutto



Quando la parola si farà corpo
e il corpo aprirà la bocca
e pronuncerà la parola che l’ha creato,
abbraccerò questo corpo
e lo adagerò al mio fianco.


HEZI LESKLI, “Quinta lezione d’ebraico”
da I topi e Leah Goldberg



Titolo: Che tu sia per me il coltello
Autore: David Grossman
Traduzione: Alessandra Shomroni
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 1998
Pagine: 330
Editore: Mondadori – Oscar


"Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso“, da Lettere a Milena di Kafka



La scorsa settimana sono incappata in Che tu sia per me il coltello, il romanzo di David Grossman, lo scrittore israeliano da anni impegnato nella causa del pacifismo, dopo aver perso un figlio che prestava servizio militare di leva nel 2006 nel Libano meridionale.

Che tu sia per me il coltello è un'opera assolutamente originale per forme e linguaggi narrativi, tanto che viene considerato uno dei romanzi più sperimentali e difficili di Grossman, scritto nel 1998 ed è arrivato in Italia nel ’99 edito da Mondadori.

Un libro delicato e denso di particolari caldi, seducenti e veri e, al contempo, lento, anzi, lentissimo, nonché prolisso e noioso all'infinito, che ha generato in me sentimenti e reazioni contrastanti. Non nascondo infatti di aver provato una certa estraneità emotiva rispetto al racconto, un'estraneità dovuta alla dimensione "astratta" del libro, ma un'estraneità unita però a una connessione interna e intensa con i sentimenti di Yair e Myriam, i due protagonisti della storia.

Il loro è un rapporto esclusivamente epistolare e compresso dal punto di vista temporale in un determinato spazio, quello intercorso tra il giorno in cui Yair viene colpito dal tentativo di Myriam di isolarsi da una conversazione con un gruppetto di ex compagni di liceo e la fine della loro relazione epistolare, decisa da loro stessi per salvaguardare la purezza del rapporto.

E, infatti, l'intero libro è costituito da una serie di lettere con cui Yair e Myriam, entrambi sposati e entrambi con un figlio, rivelano reciprocamente loro stessi e le proprie vite tirando fuori la loro vera essenza: se per circa due terzi del libro scopriamo le loro storie solo attraverso la voce di Yair, la seconda parte è dedicata alle lettere che Myriam scrive quando Yair ha smesso di scriverle, coerentemente con quanto pattuito o in precedenza.
Pagina dopo pagina emergono cosi le personalità dei due protagonisti, Yair e Myriam e, sullo sfondo, sfumate, quelle dei loro cari, Maya e Yidò, Amos e Yochai (e Ana). E solo nelle ultimissime pagine tutta la tensione accumulata sembra venire rilasciata in maniera esplosiva, dapprima con il contatto telefonico e, in seguito, con l'incontro tra i due protagonisti.

Una storia dove sono i sentimenti a farla da padrone, perché nel rapporto instaurato tra i due non esiste vergogna, né pudore, né falsità, ma solo trasparenza, a volte dolorosa e tagliente, e profondità. Un libro dove non bisogna seguire una trama ma concentrarsi sulle parole e soffermarsi sull’importanza di ognuna di esse.

Perché un foglio di carta e una penna possono essere terapeutici e aiutare a capire molte cose.


"Myriam,
tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.
Ti ho vista l’altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamato “professoressa”. Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. È tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere delle lettere da me."
Da Che tu sia per me il coltello, Grossman


martedì 10 maggio 2016

Money Monster: ma allora chi è il vero criminale?


“Denuncio la finanza corrotta ma non inneggio alla rivolta. Non credo che il nostro sistema economico sia completamente sbagliato”, Jodie Foster.

Cosa succederà il 12 maggio quando il film Money Monster – L’altra faccia del denaro uscirà nelle sale italiane?

In rete se lo stanno chiedendo in molti, preoccupati di possibili subbugli dovuti alle molteplici somiglianze della storia con la vicenda Banca Etruria e compagnia bella e delle possibili implicazioni che potrebbe avere sui risparmiatori truffati.

Protagonista del film, il cui sottotitolo originale, non a caso, è Not every consipracy is a theory, è proprio l’alta finanza. Una trama ispirata dalla crisi legata al mercato immobiliare americano e dal conseguente crollo della Borsa di cui ho già parlato in uno dei miei ultimi post (Money Monster: quando il rapporto con i soldi diventa difficile).

Quello che invece voglio trattare ora è il pericolo che portare sullo schermo una sorta di grande complotto su cui si reggerebbe la finanza mondiale potrebbe suggerire idee pericolose a quei risparmiatori che sono stati vittime di truffe anche nel mondo reale. Come i clienti di Banca Etruria, che proprio in queste ore è tornata alla ribalta dopo che è emersa una circolare dei manager della banca che letteralmente ordinava la truffa. In che modo? Spingendo i clienti a effettuare il disinvestimento di operazioni a capitale garantito optando invece per i prodotti subordinati: “Vendete le obbligazioni subordinate a tutti i clienti”.

Proprio quello che succede nel film dove Lee Gates (George Clooney) è il “mago di Wall Stret”, uno spregiudicato giornalista economico che si vende come esperto del mercato azionari in un programma televisivo dove elargisce pessimi investimenti e consulenze finanziarie fraudolente.
Tutto sembra filare liscio ma, tra i tanti truffati, vi è giovane disperato (Jack O. Connell) che non riesce a rimanere fermo a guardare la sua vita andare in pezzi. Anche lui ha perso tutto a causa di una serie investimenti sbagliati suggeriti dal giornalista e per questo, mosso dalla disperazione, dopo essere riuscito ad introdursi armato all’interno dello studio televisivo, prende in ostaggio Lee.

 «Ci ho pensato sì, ma il mio film mette bene in chiaro che quello che fa il protagonista non è la cosa giusta. Non è facendo ostaggi che si ottiene giustizia dopo un torto subito. Il film è netto su questo punto ma la frustrazione è reale» ha commentato in proposito Jodie Foster, la regista del film.

E, com'era solito dire il vecchio Lubrano, la domanda nasce spontanea: chi è il vero “criminale”? Chi minaccia di far saltare tutto premendo il dito su un detonatore o chi specula sul mercato spingendo sul lastrico migliaia di cittadini più o meno consapevoli?

Per fortuna a stemperare la paura e l'angoscia palpabile del film c'è l'intensità di Springsteen, che con la sua struggente Devils & Dust funge da perfetto contrappunto allo spavento, alla paura e al contempo al sentimento di onnipotenza di quegli uomini con il “finger on the trigger” che non sanno più a chi e in che cosa credere.

E allora, oh Bruce, salvaci tu!


I got my finger on the trigger
But I don't know who to trust
When I look into your eyes
There's just devils and dust.




domenica 8 maggio 2016

Hirò, er Jeeg Robot de noi altri

TITOLO ORIGINALE: Lo chiamavano Jeeg Robot
DATA DI USCITA: 25 febbraio 2016
GENERE: Azione, Drammatico
REGIA: Gabriele Mainetti
ATTORI PRINCIPALI: Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli
SCENEGGIATURA: Nicola Guaglianone, Menotti
FOTOGRAFIA: Michele D'Attanasio
MUSICHE: Gabriele Mainetti, Michele Braga
PRODUZIONE: Goon Films con Rai Cinema
DISTRIBUZIONE: Lucky Red
PAESE: Italia
DURATA: 112 Min

"Salvali, salvali tutti, tu che puoi… diventare Jeeg", Alessia.




Claudio Santamaria è il protagonista, insieme a Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli, di Lo chiamavano Jeeg Robot, il film diretto e prodotto da Gabriele Mainetti e scritto da Nicola Guaglianone e Menotti, che mi è capitato di vedere qualche sera fa al cinema.

Un fantasy più reale di un documentario, accolto da un grande entusiasmo da parte del pubblico e della critica e molto acclamato al Festival del Cinema di Roma, che arriva nelle sale proprio mentre il grande Hiroshi festeggia i suoi 40 anni animati.

Girato prevalentemente nella periferia romana, con un budget limitato a circa 1.700.000 euro, il film racconta la strana vicenda di Enzo Ceccotti, (Claudio Santamaria), un ladruncolo qualsiasi di Tor Bella Monaca, ombroso, introverso e triste che sbarca il lunario con piccoli furti. Per sfuggire a due poliziotti che lo stanno inseguendo, Enzo pensa bene di buttarsi nelle acque del Tevere, ma così facendo entra in contatto con delle sostanze radioattive contenute in alcuni bidoni nascosti sotto la battigia. Febbre, sudori, nausea e poi, boom, il mattino dopo si sveglia come nulla fosse. O così almeno crede.

In realtà si accorgerà ben presto di avere acquisito un forza e una resistenza sovraumane, una sorta di benedizione per la sua carriera di delinquente.

Tutto cambia quando nella sua vita entra di prepotenza Alessia (Ilenia Pastorelli), una ragazza dolce e problematica, che non ci sta più con la testa dopo la morte della madre ed è convinta che lui sia Hiroshi Shiba (in romanesco “Hirò”), il protagonista del famoso cartone animato giapponese Jeeg Robot d’acciaio, di cui è ossessionata al punto che sembra lei stessa uscita da un fumetto.

Ed Enzo finirà di innamorarsi della bella Alessia: una coppia fantastica, lei che confonde il mondo delle anime con quello reale, lui un ragazzone che non è mai cresciuto, chiuso in se stesso.

E tra una rapina e l'altra entra in scena l'antieroe, impersonato da Fabio Cannizzaro, anche detto "lo Zingaro" (Luca Marinelli), un po' il Joker de noi altri, il capo di una piccola banda di criminali un po' scoppiati, ossessionato dalle sue manie di grandezza e dall'ambizione di diventare un boss importante all'interno della malavita romana. Vuole allargare il suo giro, per cui rapisce Enzo e Alessia per farsi rivelare da lui come ha ottenuto i suoi poteri.

Una vicenda dal sapore molto pulp, con tutti gli elementi necessari per raccontare un mito, senza dargli però troppa importanza e con molta ironia e divertimento. A questo si aggiunga la capacità di Mainetti di stupire in ogni sequenza con svolte narrative che imboccano direzioni impreviste e a ritmo serrato.

Pur essendo un omaggio alla serie manga e anime Jeeg robot d'acciaio di Gō Nagai, si tratta comunque di un inside joke perché il film ha poco a che fare con questa, se non per il fatto che Alessia identifica in Enzo Hiroshi Shiba, l'eroe della serie. Più che altro Mainetti è riuscito a trasporre in un film tutto italiano la mitologia dell'uomo qualunque che riceve poteri straordinari in seguito a un incidente e che, attraverso un percorso di redenzione ricco di ostacoli, matura una consapevolezza che lo porterà a crescere.

Un film meta-metropolitano che è favola, fantascienza e noir assieme, ambientato in un mondo disperatamente bisognoso di eroi, in una Roma di borgata in cui si aggirano personaggi bizzarri. Lo Zingaro, il personaggio di Luca Marinelli, uno pseudo cantante malato di apparizione, che fa paura con i suoi occhi iniettati di avidità di potere mista a pura pazzia e da cui è meglio stare alla larga, un cultore della musica italiana degli anni '80, in particolare della cantautrice Anna Oxa. E Hirò, un outsider che va avanti a budini alla crema e film porno, fino a quando sostituirà i DVD porno con quelli della serie animata. Un personaggio ben studiato per cui Mainetti si è ispirato al film Léon, e in particolare al protagonista Jean Reno, e per cui Santamaria ha dovuto allenarsi aumentando di ben 20 chili, fino ad arrivare a pesarne 100, nonché cimentarsi nel canto.

Due grandi attori, Luca Marinelli, 31 anni, già protagonista maschile de La solitudine dei numeri primi tratto dall'omonimo romanzo di Paolo Giordano, e Claudio Santamaria, che già l'anno scorso aveva avuto a che fare con i supereroi essendo la voce italiana di Christian Bale nella trilogia di Batman di Christopher Nolan.


Un film profondo, dove i contenuti emergono a strati, ma anche un film che ne ricorda molti altri ma non è uguale a niente, in cui Mainetti ha saputo adattare il genere comic movie alle virtù e ai vizi della borgata romana, dando vita a un sorprendente connubio tra noir, gangster all'italiana, fantasy, anime, action e commedia.

E un ultimo umile applauso al duo Mainetti e Guaglianone, rispettivamente regista e sceneggiatore, già noto per aver portato sulla scena un Lupin III con attori romani, tra cui Valerio Mastandrea, e Tiger boy, un film ispirato a un altro eroe mascherato, L'uomo tigre, anche se molto alla lontana, finito nella shortlist degli oscar.

Chiudo con un'informazione di servizio: parrebbe che Enzo Ceccotti tornerà a indossare di nuovo la maschera di Hiroshi/Jeeg in un sequel. In un mondo disperatamente bisognoso di eroi, a noi la cosa proprio non dispiacerebbe. 

giovedì 28 aprile 2016

Money Monster: quando il rapporto con i soldi diventa difficile


TitoloMoney Monster - L'altra faccia del denaro
Titolo originale: Money Monster
Genere: thriller
Regia: Jodie Foster
Sceneggiatura: Alan DiFiore, Jamie Linden, Jim Kouf
Fotografia: Matthew Libatique
Scenografia: Deborah Jensen
Attori principali: Julia Roberts, George Clooney,
 Dominic West, Jack O'Connell, Caitriona Balfe
Anno: 2016
Durata: 95 minuti
Distribuzione: Warner Bros.
Data uscita in Italia: 12 Maggio 2016

“Io interpreto il capo delle pubbliche relazioni di un’azienda di trading ad alta frequenza. Questa storia pone due belle domande: come funziona il nostro sistema finanziario e cosa stiamo facendo come società?“Julia Roberts in un'intervista a Marie Claire.




Sapete quanti risultati potete ottenere impostando come termine di ricerca su su google "come fare soldi"? Ve lo dico io: 372.000, soltanto in italiano.
Questo vuol dire che 372.000 siti sono pronti a rivelarvi i segreti per vivere da nababbi, che questo implichi azioni più o meno immorali.

E il denaro è sempre più spesso protagonista principlale dei film degli ultimi anni, lo abbiamo visto per esempio nel mio post precedente su La Grande ScommessaSarà perchè, in fin dei conti, tutte le azioni umane sono mosse da tre cose fondamentali, ovvero amore, odio e denaro?


Fatto sta che si parla di soldi anche in Money Monster - L'altra faccia del denaro, il film girato dall'attrice e regista Jodie Foster che uscirà nelle sale italiane il 12 maggio 2016.

Un thriller drammatico/coinvolgente con una storia travagliata alle spalle. Basti pensare che se ne è cominciato a parlare già agli inizi del 2012 ma la produzione è stata posticipata fino alla fine di febbraio 2015, quando a New York sono inziate le riprese.

Dopo il successo di Mr.Beaver che ha confermato definitivamente la sua carriera di regista, alla Foster spetta ora il compito di dirigere due attori che sono ormai entrati nella mitologia Hollywoodiana: sto parlando dell'accoppiata George Clooney e Julia Roberts, di nuovo insieme dopo Ocean's Twelve. Senza contare il resto del cast, del quale fanno parte Jack O’Connell, Caitriona Balfe, Dominic West, Emily Meade ed Olivia Luccardi, nonchè Giancarlo Esposito e Caitrona Balfe, due vecchie conoscenze degli appassionati di serie tv (rispettivamente il Tom Neville di Revolution e la Claire Randall di Outlander).

Money Monster è infatti il nome del programma televisivo di successo che sta conducendo
Lee Gates (George Clooney), quando viene fatto ostaggio da un uomo armato che lo accusa di avergli dato cattivi consigli di investimento, causa principale della sua bancarotta. MIlioni di telespettatori vedono la scena trasmessa in diretta.

Il ruolo di supereroe questa volta spetta a Patty Fenn (Julia Roberts), la produttrice dello show, ma le verità nascoste sono sempre in agguato.

Ma più che una storia di rapimento, Money Monster è la battaglia di un uomo disperato in cerca di spiegazioni per ciò che gli è accaduto, perchè la semplice risposta “È stata colpa di un algoritmo, è così che vanno le cose” non gli è bastata. E' per questo  che decide di prendere in ostaggio Lee Gates, un venditore televisivo che si è arricchito grazie a una serie di investimenti.

Staremo a vedere!


"PELLE" di Erica Zanin

"PELLE" di Erica Zanin
Un romanzo in vendita su www.ilmiolibro.it

"PELLE", il mio primo romanzo che consiglio a tutti!

Siamo nella Milano dei giorni nostri, in quella zona periferica che da Greco conduce a Sesto San Giovanni. In un autobus dell'ATM, un autista, ormai stanco del suo lavoro, deve affrontare una baby gang che spaventa i suoi passeggeri. Si chiama Bruno ed è uno dei tanti laureati insoddisfatti costretti a fare un lavoro diverso da quello da cui ambivano: voleva fare il giornalista e invece guida l'autobus nella periferia di Milano. Ma non gli dispiace e non si lamenta. E' contento lo stesso: è il re del suo autobus e i suoi passeggeri sono solo spunti interessanti per i racconti che scrive. Li osserva dallo specchietto retrovisore, giorno dopo giorno, li vede invecchiare, li vede quando sono appena svegli e quando tornano dal lavoro stanchi morti, e passa il tempo ad immaginarsi la loro vita. Finché nella sua vita irrompe Margherita, con la sua vita sregolata, con i suoi problemi di memoria, con i suoi segreti. E tutto cambia. Fuori e dentro di lui.