lunedì 25 gennaio 2016

The Lobster e il cinema dell'assurdo di Lanthimos


Regia: Yorgos Lanthimos
Sceneggiatura: Yorgos Lanthimos, Efthymis Filippou
Cast: Colin Farrell, Rachel Weisz, Léa Seydoux, Olivia Colman, Jessica Barden, John C. Reilly, Ben Whishaw, Angeliki Papoulia, Ariane Labed
Durata: 118 min.




-“Dovrà trovare una persona uguale a lei. Se non ci riuscirà, retrocederà al regno animale. Per sempre. Che cosa desidera diventare, eventualmente…”

-“Un’aragosta”.

Ricchissimo di spunti interessanti e premiato con premio della Giuria all’ultimo festival di Cannes, The Lobster è il quarto film di Yorgos Lanthimos, regista greco pressoché sconosciuto in Italia, la cui spietatezza, si dice in giro, è paragonabile a quella di Lars von Trier.
Si tratta infatti del suo primo lavoro girato in lingua inglese, con un cast internazionale che, oltre a un Colin Farrell pressoché irriconoscibile, annovera anche Rachel Weisz, Léa Seydoux, Olivia Colman e Angeliki Papoulia.

David (interpretato da un ottimo Colin “panzetta” Farrell perfetto per quel ruolo) ha quarantacinque giorni di tempo da trascorrere in un albergo creato appositamente per single come lui in un mondo in cui, a nessuno, uomo o donna, è permesso di vivere da solo.
Se alla fine del soggiorno, non avrà trovato la propria anima gemella lo scotto da pagare sarà la trasformazione in The Lobster, ovvero l’aragosta, l’animale che David ha dichiarato di voler diventare prima di essere accolto nella struttura: l'aragosta è pur sempre un animale longevo, fertile per tutta la durata della vita e che vive in mare, ambiente che a David piace moltissimo e questo a lui sembra bastare. Insomma, un po' come se l’alternativa al trovare un’anima gemella fosse diventare animali e, non a caso, ad accompagnare David in questo percorso c'è il suo bel cane, che in realtà si scopre essere stato in origine il fratello, poi trasformato perché non in grado di trovare la partner giusta per lui.

Siamo in un futuro prossimo non meglio specificato, in un luogo fisico non meglio identificato. Siamo in una realtà sociale distopica in cui, la società non permette agli esseri umani di restare single per cui vedovi/e e amanti abbandonati vengono immediatamente catturati e ricoverati in un hotel. Non solo si deve stare in coppia ma è necessario che la coppia sia sintonica e vada piacevolmente d’accordo. Poche e semplici norme sono state create per favorire il controllo dei comportamenti, che è più difficile se le persone vivono da sole. Un mondo senza più amore e affetto che ha però bisogno di dimostrare il contrario, in cui le unioni sono basate su falsità mascherate da intese perfette. Un mondo in cui in caso di crisi, alla coppia viene fornito un bambino e comunque i figli vengono “annessi” alle coppie già grandicelli e hanno il compito a priori di tenerli uniti. Un mondo in cui si va anche a caccia: si spara ai single integralisti e come premio si guadagnano giorni di permanenza in più e quindi maggiore opportunità di trovare il partner adatto.

Dopo un tentativo mal riuscito di formare una coppia con una donna senza cuore, David scappa dall’hotel e trova rifugio nella foresta, dove viene accolto da un gruppo di ribelli, una comunità di single irriducibili scampati alla metamorfosi animalesca, nascosta in mezzo a un bosco.
Qui, tra cammelli e pavoni che un giorno furono uomini, balli grotteschi e immagini accuratamente selezionate del paesaggio irlandese del Kerry, la situazione di David non migliora però di molto: il gruppo è guidato da una fanatica e spietata tiranna (la bravissima Léa Seydoux), ben decisa a far rispettare a qualsiasi costo le regole e le strategie che i single si impongono per evitare di inciampare in quelle debolezze tipicamente umane, giungendo a odiare qualunque manifestazione di affetto e di condivisione.

Essendosi innamorato di una donna che a sua volta lo ama, a David non resta che fuggire alla ricerca di una libertà assoluta, cioè sciolta da vincoli e controlli sociali. Ma siamo sicuri che questo genere di libertà esista davvero?

Ed è così che con spirito dissacrante e anticonvenzionale Lanthimos ci da una rappresentazione assai spiazzante e crudelmente umoristica di un’umanità costretta a vivere senza libertà, in cui l’intera situazione richiama un po' le situazioni assurde, a metà tra il grottesco e l'inverosimile dei libri di Saramago, in cui lo spettatore/lettore viene catapultato e costretto ad accertarne l'inverosimiglianza.

Anche lo stampo teatrale dei dialoghi e un linguaggio nuovo, razionalistico e nero fino alla perfidia e davvero poco sentimentale ne sottolineano la folle e perversa visione.
Girato in Irlanda con luci quasi interamente naturali, il film presenta un grande schematismo che, in senso spaziale viene rappresentato dai tre luoghi in cui si svolge l'intera vicenda: l'albergo, il bosco e la città.
L'albergo è un luogo pieno di regole che funge un po' da spartiacque e da chiave di accesso agli altri due mondi: o accetti di formare una coppia o decidi di restare un solitario e di andare nel bosco. Oppure muori o diventi bestia. Nient'altro è permesso.
Il bosco rappresenta così quasi un virus, un elemento destabilizzante che diventa il simbolo della ribellione ad una condizione imposta e che, paradossalmente, si trasforma però in un'altra costruzione sociale e in cui l'uomo rimane intrappolato, ritrovandosi ad essere ancora, in ultima istanza, di fatto individualista e incapace di provare emozioni.
La città sembra invece quasi un social network, un posto dove mostrarsi sempre felici e, soprattutto, felici in coppia, e comunque, altro da se. Un mondo nel quale però anche i ribelli del bosco ogni tanto devono andare per fingersi altro da sé.
Tre piccole enclavi quindi dove la libertà alla fine non esiste.
Un film divertente, in quanto irriverentemente ironico, ma anche molto irritante perché lascia insoddisfatta la ricerca di senso logico di chi si aspetta di trovare un nesso filosofico o una specie di teorema.

Vogliamo leggerci una critica precisa alla società moderna che ci circonda, in cui tutto è fatto per due o, meglio ancora, per una famiglia? Leggiamocela.
Vogliamo leggerci una rappresentazione della precarietà dell’equilibrio di coppia, ma anche della fragilità del nostro equilibrio individuale? Leggiamocela.

In ogni caso The Lobster è un film crudo e crudele, una sorta di ordine e semplificazione sociale, in cui anche l’unica scena di seduzione risulta fredda e controllata, in cui l'uomo non ha più niente di autentico e vitale e in cui anche il sesso e la violenza appaiono freddi, meccanici e incapaci di stupire.

Il grottesco, il ridicolo, il delirante, qui si mischiano e si intrecciano con la realtà facendo oscillare in continuazione la pellicola tra l’assurdità e la verosimiglianza: Lanthimos stravolge l’abituale susseguirsi degli eventi, costringendo i protagonisti a scelte inusuali, inaspettate e perlopiù drammatiche, sfociando così in un cinema dell’assurdo. Un’insensatezza a cui, durante il film, non ci si fa neppure caso, tanto sono numerose e forti le stranezze.
Ma The Lobster è anche un film giocato sul non detto, sul non sentito (la scena in cui viene suonata pianissimo Where the Wild Roses Grow di Nick Cave e Kylie Minogue) e sul non visto (il finale). Un finale che ognuno può leggere nella maniera che preferisce.

La mancanza più grande?
Devo dirlo, Lanthimos non riesce a raggiungere quel livello di poesia che trasformerebbe il film in un capolavoro. Ma forse non vuole neanche farlo e la sua intenzione è proprio metterci davanti a un'opera quasi monumentale ma incapace di provocarti la minima emozione se non quel grandissimo stupore che assale ogni uomo che viene messo con violenza assoluta di fronte all'assurdità.

mercoledì 6 gennaio 2016

Quella sera dorata, il film perfetto per il tè delle 5


Regia: James Ivory
Attori principali: Anthony Hopkins, Laura Linney, 
Charlotte Gainsbourg, Omar Metwally, Hiroyuki Sanada
Titolo originale: The City of Your Final Destination
Genere: Drammatico
Durata: 118 min.
Uscita: Gran Bretagna, 2010



Se vivessi a New York dovrei fingere di interessarmi a tutto. Antony Hopkins

Quella sera dorata è una storia di sorvegliati rancori, di piccoli cinismi e di destini che si compiono all'insaputa dei protagonisti, un film «da tè delle 5» che sembra stato appositamente confezionato per annoiarsi con stile in un piovoso pomeriggio invernale.

Una pellicola dalla gestazione difficile visto che il regista californiano James Ivory ha impiegato quasi cinque anni per riuscire a trovare ispirazione e finanziamenti, dopo la morte di Ismail, compagno artistico e sentimentale di una vita. Alla fine però l'ispirazione è arrivata, grazie al romanzo Quella sera dorata dello scrittore americano Peter Cameron, nella cui complessità del testo il film di Ivory entra con un sapiente mix di fedeltà e di invenzione.

E subito mi domando perché il titolo del film sia stato tradotto in questo modo. Se infatti The city of your final destination è il titolo originale, così come è anche il titolo originale del libro di Peter Cameron da cui il film è tratto, Il titolo italiano è Quella sera dorata, tanto per il film quanto per il libro. Eppure nel film non c'è traccia delle parole cui fa riferimento il titolo che si trovano invece nel libro, nascoste tra i versi della poesia Santarém di Elizabeth Bishop, che introducono la seconda parte del libro, nella quale il protagonista Omar scrive un saggio critico sulla Bishop:

That golden evening I really wanted to go no farther; 
more than anything else I wanted to stay awhile

Quella sera dorata non volevo proprio andare oltre; 
più di ogni cosa volevo restare un po'


La trama è incentrata sulla storia di un giovane borsista iraniano-canadese della University of Colorado (Omar Metwally) che compie un viaggio in un piccolo ammaliante paese sudamericano, l’Uruguay, per convincere una strana famiglia di intellettuali a concedergli l'autorizzazione a scrivere una biografia dello scrittore Jules Gund, morto suicida dopo aver pubblicato il suo unico romanzo. Il lavoro gli servirà per avere un ambita borsa di studio.

Istigato dalla petulante e algida fidanzata Deirdre, che vuole per lui una carriera di successo, Omar piomba in quel piccolo gruppo di familiari dello scrittore, rifugiati in una vita immobile e avulsa dal mondo esterno e contrari chi più chi meno alla sua intrusione: da Caroline (Laura Linney), la moglie insoddisfatta, ad Arden (Charlotte Gainsbourg), l'amante giovane e fragile da cui ha avuto una deliziosa bambina, da Adam (Anthony Hopkins), il fratello omosessuale al di lui amante/compagno della vita, Pete (Hiroyuki Sanada), che ha portato adolescente a condividere una vita reclusa, scelta dai genitori dello scrittore, in fuga dalla Germania nazista.

Tutti sembrano sospesi in un cerchio magico, in cui sono capitati per caso, rintanati in una casa di campagna in cui continuano a sopravvivere antichi rancori, circondata dall'incanto del paesaggio dell'Uruguay letterario e magico di Peter Cameron.
Un Sudamerica raccontato da Ivory in modo vivido e realistico, dove anche i ricchi sembrano giunti al capolinea e dove la vita degli abitanti è un pallido riflesso della vita passata. E Omar sembra perfettamente in sintonia con questo luogo fuori del tempo e dello spazio, dove la storia si è fermata e la sua presenza funziona inconsciamente da detonatore delle dinamiche fino allora velate.

La magnifica ambientazione e i fiumi di whisky sullo sfondo di una natura che assorbe e condiziona ogni cosa regalano numerosi spunti di riflessione: dal dilemma se vivere in uno splendido luogo isolato o nella grande città, alla scelta tra civiltà e natura, dall'isolamento e partecipazione alla storia al rapporto tra destino e scelte personali, tra sentimenti e ambizioni.


Un film esteticamente bello e emozionante, nonché elegantemente noioso, in cui oltre al tono leggero e insieme annoiato di certe commedie sofisticate, emerge chiaramente l'estetica e l'atmosfera tipica del regista, quell'"Ivory touch", che conferisce un 'aria aristocratica e patinata alle sue pellicole, ai dialoghi letterari e all'impianto teatrale, sfarzoso e ricercato.

venerdì 1 gennaio 2016

A perfect day, a perfect film



Regia: Fernando León de Aranoa
Cast: Benicio Del Toro, Tim Robbins, Olga Kurylenko,
Melanie Thierry, Fedja štukan
Titolo originale: A Perfect Day
Genere: Drammatico
Durata: 106 min.
Uscita: giovedì 10 dicembre 2015

 


"Qui pure i bambini nascono ridendo"

"Ho voluto tre attori grandi e grossi, due dei quali più alti di me (Tim Robbins e il bosniaco Fedja Stukan, ndr), per rappresentare visivamente il contrasto fra la possenza fisica di chi fa questo lavoro e l'impotenza e frustrazione che si prova in situazioni in cui ottenere risultati positivi è davvero difficile, e che ho provato anch'io in zone di guerra in cui il mio metro e 98 non faceva alcuna differenza.", Fernando León De Aranoa.


È la poetica delle piccole cose in chiave comico-grottesca, quella nascosta in questo magnifico film del regista e sceneggiatore spagnolo Fernando León De Aranoa tratto da Dejarse Llover, il romanzo intimista e ironico della cooperante spagnola Paula Farias.

Si tratta di un film on the road che fotografa con un’ironia amarognola gli orrori e l'insensatezza di un conflitto dimenticato (o rimosso) dagli europei, quello nell'ex Jugoslavia, un conflitto così vicino a noi, geograficamente, e anche nel tempo, ma su cui è stata stesa un'imbarazzata cortina di silenzio. Un racconto realistico ed emblematico insieme, in cui Aranoa alterna con abilità momenti leggeri a momenti tristi, grazie a una trama ricca di deviazioni.

Ambientata nei Balcani nel 1995, verso la fine della guerra e l'inizio degli accordi di pace, la pellicola racconta le disavventure di un gruppo di operatori umanitari impegnati a mettere un po' d'ordine nel caos della guerra, perché anche se gli accordi di Dayton sono vicini, c'è ancora tanto lavoro da fare per tornare a una pseudonormalità.

Gli "idraulici della guerra" in questo caso sono i cooperanti di una associazione internazionale e il loro interprete locale, dei veri e propri antieroi arrivati nei Balcani semplicemente per fare del ‘bene’, come se ci fosse ancora spazio per il bene, per l’umanità, la generosità nella crudeltà cinica delle guerre. Tra ideali umanitari, abitudine, utopie e mancanza di alternative, porteranno alla luce tutto il grottesco del conflitto.

I due veterani del gruppo sono Mambru (un Benicio del Toro in gran forma), il capo della sicurezza portoricano dallo sguardo sempre irridente e dal fascino burbero che sta per rientrare finalmente a casa, e lo statunitense B (Tim Robbins), un tipo cinico e lunare che invece la sua casa non sa nemmeno più dove stia e non saprebbe più dove andare e cosa fare se non ci fossero quelle operazioni umanitarie in terre disastrate.

Insieme a loro ci sono Sophie (Mélanie Thierry), la cooperante francese alle prime armi, ancora integra e piena di voglia di lottare per i propri ideali anche se in piena perdita d'innocenza dinanzi alle brutture della guerra, e la bella Katya (Olga Kurylenko), una russa con una relazione con Mambru alle spalle che ha il compito di controllare il loro operato e dalla cui valutazione dipende il prolungamento della missione.

Al gruppo si aggiungono due personaggi del posto: l’interprete Damir (Fedja Stukan), stretto tra il desiderio di collaborare e i pericoli a cui espone sé e i propri conoscenti, e Nikola (Eldar Residovic), un ragazzino di appena 9 anni che porta con sè le atrocità della guerra.

Vedendo questo film si sorride e molto, ma gli argomenti trattati sono seri.
L'obiettivo della missione, apparentemente semplice, è rimuovere un cadavere grande e grosso che è stato gettato in uno dei pochi pozzi della zona, rendendolo inutilizzabile.
Il problema è che l'unica corda di cui dispongono si è spezzata e trovarne un'altra si rivela un'impresa epica.
La ricerca della corda si trasforma infatti, in una tragicomica, esilarante caccia al tesoro da un villaggio all’altro, tra l'ostilità dei locali, i conflitti etnici, le mine seminate ovunque, contraddizioni burocratiche, carcasse di mucche minate messe lungo la strada per far saltare in aria i veicoli, case pericolanti e altre minacce.

La buona volontà dei cooperanti finisce inesorabilmente per scontrarsi con una realtà fatta di regole insulse e protocolli da seguire e viene beffata dal caso. Non a caso, l’ultimo sorriso viene regalato dall’ironia della sorte, in un bellissimo finale sotto la pioggia in cui nessuno crede più nei sogni, quindi nessuno scalpita nel vederli infranti.
Un film senza fronzoli e senza piagnistei che sa farsi apprezzare pienamente: anche filmando autentiche missioni umanitarie, Aranoa è riuscito a dare verità alla cronaca amalgamando sapientemente dramma e umorismo, serietà e leggerezza, gravità e ironia, impegno e divertimento, creando così un magico equilibrio.
L'impianto teatrale del film, con molte battute fulminanti, riesce poi a dare vita a un racconto eroicomico dai toni picareschi e dai dialoghi eccellenti, mentre la regia riesce a governare sapientemente immagini, tempi e ritmi del racconto che balzano davanti agli occhi tutti casuali, tutti inaspettati. Buona anche la sceneggiatura, astuta nel suo minimalismo e perfetta la colonna sonora che sottolinea la tensione del racconto passando dai Ramones ai Gogol’ Bordello, fino a una bellissima There Is No Way di Lou Reed.
Una curiosità: le riprese sono state effettuate tutte in Spagna. Nonostante questo, la fotografia di Alex Catalán dà a queste traversate un tocco western difficile da dimentcare.

Un film davvero necessario, un omaggio a tutti quegli antieroi che senza falsi pacifismi aiutano le popolazioni devastate dalla guerra, una denuncia di come ogni conflitto abbia i suoi profitti e profittatori, una frecciatina indiretta contro l'incapacità ad agire dei dispositivi internazionali (in primis i caschi blu dell'Onu).

"PELLE" di Erica Zanin

"PELLE" di Erica Zanin
Un romanzo in vendita su www.ilmiolibro.it

"PELLE", il mio primo romanzo che consiglio a tutti!

Siamo nella Milano dei giorni nostri, in quella zona periferica che da Greco conduce a Sesto San Giovanni. In un autobus dell'ATM, un autista, ormai stanco del suo lavoro, deve affrontare una baby gang che spaventa i suoi passeggeri. Si chiama Bruno ed è uno dei tanti laureati insoddisfatti costretti a fare un lavoro diverso da quello da cui ambivano: voleva fare il giornalista e invece guida l'autobus nella periferia di Milano. Ma non gli dispiace e non si lamenta. E' contento lo stesso: è il re del suo autobus e i suoi passeggeri sono solo spunti interessanti per i racconti che scrive. Li osserva dallo specchietto retrovisore, giorno dopo giorno, li vede invecchiare, li vede quando sono appena svegli e quando tornano dal lavoro stanchi morti, e passa il tempo ad immaginarsi la loro vita. Finché nella sua vita irrompe Margherita, con la sua vita sregolata, con i suoi problemi di memoria, con i suoi segreti. E tutto cambia. Fuori e dentro di lui.