domenica 4 febbraio 2024

Le sette lune di Maali Almeida, ovvero il cammino inziatico di Shehan Karunatilaka

 


“Non abbiate paura dei demoni; sono i vivi che dovremmo temere. Gli orrori umani battono qualunque cosa Hollywood o l’aldilà siano capaci di evocare. Ricordatevelo sempre quando incontrate un animale selvatico o uno spirito vagante. Non sono pericolosi quanto voi.”





Ti svegli in un Aldilà molto trafficato, popolato da demoni irriverenti,

Siamo a Colombo, la capitale dello Sri Lanka nel 1989-90: impazza la guerra civile tra singalesi e tamil e tu sei un fotografo di guerra, giocatore d’azzardo, omosessuale. Hai sette lune di tempo per scoprire la verità sulla tua morte e per giungere e portare chi è rimasto tra i vivi a rendere pubbliche delle pellicole scottanti che hai nascosto. Solo così potrai unirti alla Luce e dimenticare ciò che sei stato.


Con la sua penna pop e un narratore in seconda persona, il cingalese Shehan Karunatilaka narra la storia di Malinda Albert Kabalana, detto Maali Almeida, in uno Sri Lanka dilaniato da una guerra che dal 1990 al 2000 ha provocato migliaia di morti, mostrando la corruzione dilagante tra di politici, forze di polizia, soldati e giornalisti. Perché “non c’è niente di apolitico in questo paese”.

Un'ironia e un sarcasmo, quello che ha usato Karunatilaka per descrivere questo mondo surreale e grottesco, che gli ha fatto vincere il Booker Prize 2022, per «the ambition of its scope, and the hilarious audacity of its narrative techniques».

domenica 24 luglio 2022

Secret Love, di Eva Husson



Titolo: Secret Love
Titolo originale: Mothering Sunday
Regia: Eva Husson
Interpreti: Odessa Young, Josh O’Connor, Olivia Colman, Colin Firth, Glenda Jackson, Sope Dirisu, Nathan Reeve, Samuel Barlow, Dexter Raggatt, Patsy Ferran
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 104′ Origine: UK, 2021 



Amore e morte, predestinazione, dolore e assenza di legami. Tratto dal romanzo di Graham Swift “Mothering Sunday”, che è anche il titolo originale del film (ma perché cambiarlo?), Secret Love è il terzo lungometraggio della cineasta francese Eva Husson.

Una trama molto breve, quasi inconsistente, riassumibile in poche righe, che si sviluppa lentissimissimissimamante nell'ora e mezza (per fortuna!) della durata del film. 

Inghilterra, 1924. Jane è l'umile domestica abbandonata da bambina dei Niven, due coniugi addolorati dalla morte in guerra dei loro due figli. Ha una focosa relazione clandestina con Paul, uno studente di legge in procinto però di sposarsi con una nobile rampolla, figlia di amici di famiglia. Insomma, un amore impossibile nell’Inghilterra classista del primo dopoguerra. 

È la stessa Jane a raccontare la sua storia, fatta a pezzi da continui salti temporali tra il periodo trascorso come cameriera e il successo letterario dell’età adulta, quando il suo dolore inesprimibile si trasforma in fuoco creativo, liberandola finalmente. 

Un cast importante, che vede Odessa Young e Josh O'Connor nei ruoli principali, accompagnati da Colin Firth e Olivia Colman

Lo voglio ricordare per: 

  • l'estetizzazione dei corpi, spesso nudi, messi in risalto da luci rarefatte e abbaglianti
  • lo sguardo intenso e struggente di Jane
  • le atmosfere visive super british 
Da dimenticare invece la sceneggiatura troppo dilatata e ridondante, che toglie il ritmo alla scena facendoti desiderare di essere altrove, tranne che al cinema,

venerdì 1 luglio 2022

ELVIS: CAUGHT IN A TRAP, EPPURE E' ANCORA CON NOI


Titolo: Elvis
Regia: Baz Luhrmann
Genere: Biografico, Musicale
Anno: 2022
Paese: USA, Australia
Durata: 159 min
Data di uscita: 22 giugno 2022
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia


“Caught in a trap, but I can’t walk out”. 

E' la strofa di Elvis che meglio di tutte descrive il film che Baz Luhrmann gli ha dedicato, uscito da poco nelle sale italiane.

Un biopic che mi ha lasciato sbalordita per storia, regia, narrazione, lavoro incredibile del cast, nonché attenzione ai dettagli.


Storia

Talento, personalità, successo e caduta del Re bianco del rhythm and blues e del movimento pelvico. Luhrmann, con questo enorme omaggio alla musica nera, racconta il controverso e ossessivo rapporto tra il Re, Austin Butler, e il Colonnello Tom Parker (Tom Hanks), l'uomo che ha creato Elvis così come lo ha anche distrutto. 

O meglio a raccontarlo direttamente al pubblico è proprio il Colonnello, un uomo viscido e manipolatore con uno straordinario talento per gli affari che, ormai arrivato all'ultimo atto della sua vita, è in cerca di un'assoluzione dei suoi peccati. E la cerca raccontando la storia di Elvis, a partire dalla sua infanzia povera, nell'unica famiglia bianca in un quartiere nero. 

Ambientazione

In una società conservatrice e razzista, l'influenza di quella che con disprezzo veniva chiamata race music, la musica dei neri, non poteva passare inosservata: i poteri forti di quell’America profondamente razzista degli anni ‘50, scandalizzata dagli ancheggiamenti di bacino considerati 'indecenti' e dai suoi rapporti con la comunità nera, costringeranno con il ricatto il Colonnello a ingabbiare letteralmente the King, che si accorgerà solo nelle ultime fasi della sua carriera di essere stato manipolato e sfruttato. 

 "Ti sbattono in galera perché ancheggi? Più facile che sbattano in galera me perché attraverso la strada. Tu sei bianco e fai guadagnare un mucchio di soldi a tutti, nessuno ti sbatterà in carcere". 
B.B.King (Kevin Harrison Jr.) a Elvis (Austin Butler) 




Così, la storia di Elvis per il regista australiano sembra essere quasi un pretesto per raccontare la storia della black music e dei suoi personaggi nati col colore della pelle sbagliato, da B.B. King a Little Richard, da Big Mama Thornton a Sister Rosetta Tharpe, da Arthur Crudup a Mahalia Jackson. Con tanto di assassinio di Martin Luther King. 

 "Mi piace che il pubblico capisca cosa hanno significato i suoi inizi lì e com’era potente la sua ispirazione. L'amore di Elvis per il gospel e il blues è stato un'autentica reazione alla musica che stava ascoltando crescendo, essendo l'unica famiglia bianca in un quartiere nero a Memphis”, ha sottolineato Luhrmann in un'intervista dove ha anche ricordato una frase che l’artista diceva spesso: “Non ho inventato il Rock and Roll, ho solo dato la mia interpretazione. Io non sono il re”.

Ma questo film è anche il racconto sincero della macchina discografica che è nata con The Pelvis, dell’intero ecosistema che vive a sue spese, della prima forma di merchandising nella storia della musica alla base del modello discografico contemporaneo. 



Contributi e colonna sonora

Una pellicola dalla potenza visiva incredibile, con immagini quasi divine e visionarie, che è valsa a Luhrmann un'accoglienza trionfale al Festival di Cannes. Anche merito dei costumi, firmati da Prada e Miu Miu, che reinterpretato la moda degli anni ’50, ’60 e ’70 in chiave contemporanea, con linee più pulite e capi minimali, oltre che di  un comparto sonoro assolutamente incredibile, arricchito da interpretazioni di vari artisti contemporanei come i Maneskin, i Tame Impala, Eminem, CeeLo Green, Doja Cat e Jack White. “

"La ragione per cui ho voluto ampliare lo spettro della colonna sonora è tutta nel cartello che chiude il film: per l’influenza che ancora oggi Elvis ha sulla cultura e la musica. E prego tutti quelli che andranno a vedere il film di restare per tutta la durata dei titoli, perché sono pieni di sorprese musicali: cominciano con la nuova canzone di Eminem e si chiudono con i Måneskin che suonano If I Can Dream duettando con Elvis sulle ultime note. Credo fosse molto importante sottolineare quanto fondamentale sia stato Elvis per tutta la musica venuta dopo di lui”. 
Baz Luhrmann, Rolling Stone. 


Baz Luhrmann

E chapeau per la resa realistica degli spettacoli televisivi del Re, con una cura quasi documentaristica che gioca con transizioni impercettibili tra le immagini di repertorio del vero Elvis e quelle girate sul set, con la vera voce di Austin Butler che in diversi punti si fonde con quella originale di Elvis. la narrazione non si preoccupa di seguire un filo cronologico preciso. 

Bravo Baz Luhrmann (lo stesso regista di Moulin Rouge!, Australia, Il Grande Gatsby, Romeo + Giuliettache firma anche la sceneggiatura, insieme a Sam Bromell, Craig Pearce e Jeremy Doner. Ma bravo anche perché mi ha risparmiato la versione del film da quattro ore, riducendolo a "sole" due ore e mezza. 

 “Avrei voluto inserire alcune cose in più, perché c’è tanto di più. C’è tanto materiale girato, ma dovevo snellire. Arrivi a un certo punto in cui non puoi tenere dentro tutto. Ho cercato di mantenere lo spirito del personaggio”
Baz Luhrmann 


Attori principali

E bravo anche Austin Butler, attore, cantante e modello che, a 30 anni ha già alle spalle film importanti, come I morti non muoiono di Jim Jarmusch e C'era una volta a... Hollywood di Quentin Tarantino, oltre ad alcune apparizioni in serie tv. 

 “Ho speso due anni della mia vita per prepararmi a questo ruolo, cercando di imparare tutto ciò che si poteva su di lui. Ho lavorato sulla somiglianza, sui capelli, sullo stile, sullo sguardo e naturalmente sui movimenti, in cui Elvis è stato davvero unico. Ma quel che più di tutto volevo era far emergere la sua anima speciale. Ho rischiato di esserne ossessionato per cercare di restituire la sua umanità dietro l'icona rock che tutti conosciamo”
Austin Butler

Senza parlare dell'irriconoscibile Tom Hanks, terribilmente in sovrappeso, che esce dal solitgo ruolo per calarsi finalmente nei panni di un personaggio oscuro, Tom Parker, l'uomo che ha gestito quasi tutta la carriera di Elvis con una provvigione del 50% e che lo ha portato alla sua disastrosa fine. 

"Non ho mai avuto paura del personaggio, è il mio mestiere di attore mettermi nei panni di qualcun altro. Quello che ho fatto è stato non giudicarlo, ma interpretarlo, anche nelle sue sfumature, nel confine tra bene e male che pure gli apparteneva. Era un truffatore, un cialtrone con il vizio del gioco delle carte, ma anche una persona dotata di un intuito straordinario. La storia dovrebbe dare a Parker ciò che gli è dovuto per aver contribuito a creare il fenomeno che era Elvis Presley”
Tom Hanks

Curiosità

#1. Le riprese principali del biopic si sono svolte in Australia, nel Queensland. 

#2. Per cogliere nel profondo il vero spirito di Elvis, Luhrmann ha vissuto a Graceland per 18 mesi

#4. Austin Butler  è finito in ospedale alla fine delle riprese a causa del ruolo fisicamente ed emotivamente estenuante interpretato

#5. Come Elvis, anche Butler ha perso la madre quando aveva 23 anni, ed è questo che lo ha legato di più al suo personaggio

#6. Sono 90 i costumi indossati sul set da Butler nei panni di Elvis

E per concludere, due parole direttamente dalla moglie di Elvis:

 “Baz Luhrmann ha organizzato una proiezione privata per me e Jerry Schilling ai Warner Bros Studios. È una storia vera, raccontata in maniera brillante e creativa come solo Baz, con il suo stile artistico unico, avrebbe potuto fare. Austin Butler è bravissimo. A metà del film io e Jerry ci siamo guardati e ci siamo detti WOW!!! Bravo a lui… La storia, come sappiamo tutti, non ha avuto un lieto fine. Ma penso che capirete un po’ meglio il viaggio di Elvis, raccontato da un regista che in questo film ci ha messo il cuore, l’anima e tanto tempo” 
Priscilla Presley, moglie di Elvis

mercoledì 1 giugno 2022

Come scorre veloce "L'estate che resta"


Titolo
: L’estate che resta
Autore: Giulia Baldelli
Data di pubblicazione: 20 Gennaio 2022
Casa editrice: Guanda
Pagine: 448
Prezzo di copertina: 19,00 euro 

“Non vorrei essere nei panni di Mattia, nella testa di Cristi e nemmeno nel tuo cuore.”


Giulia Baldelli esordisce nella narrativa italiana con L'estate che resta, un romanzo su due amori malati, quello tra Giulia e Cristi e quello tra Mattia e Cristi. Due amori che vanno avanti per tutta la vita, che intanto scorre a lato di queste storie, andando oltre i confini dello spazio e del tempo.

Quattrocentoquarantadue pagine che scorrono sempre più veloci, grazie a una scrittura penetrante, che ti trascina nell’estate degli anni ’90 in un piccolo paese delle Marche, da cui parte tutto e che ti emoziona facendoti rivivere la storia dei tre ragazzi raccontata dalla voce narrante di Giulia. 

Si incontrano da bambine Lei e Cristi, una ragazzina secca secca che ogni estate Lilli scarica a casa della nonna Ida, e il loro rapporto si trasforma in qualcosa di più di una semplice amicizia che Giulia deve spartire con Mattia, un bambino biondo spuntato dal nulla.
Entrambi, Giulia, determinata e razionale, e Mattia, coraggioso e sfuggente, subiscono il fascino di Cristi, così fragile e così selvatica, con una bellezza diafana e uno spirito ribelle schiacciato dal peso dell’abbandono. 

Ne nascerà un amore ossessivo che, per sopravvivere, scenderà a compromessi, un sentimento autentico e devastante che non tiene conto del tempo e delle distanze, tanto che, dopo aver imparato con fatica a saper stare lontano da una rapporto che sa fare male, Giulia adulta ritroverà gli altri due protagonisti nel paese dove tutto è cominciato. Ma tutto sarà diverso.

Una storia di ossessioni e compromessi che legherà per sempre le vite appassionate dei tre protagonisti, intervallata dai rapidi flussi di coscienza di Giulia, che fanno da intermezzo a dialoghi concitati, in cui emerge tutta la forza dei sentimenti vissuti in quest’età. 

Un’ambientazione che si riesce a toccare con mani, fatta di casette diroccate in cima alla città vecchia, il giardino con l’albicocco, il fiume, il bosco e una pozza che nasconde segreti nascosta in mezzo a una radura; una scrittura scorrevole che più vai avanti e più ti rendi conto che è impossibile abbandonare.



 “Ripenso ai cani e ai gatti selvatici della radura, che scelgono di non fare ritorno. A chi si dispera aspettandoli invano. Guardo l’erba rasata sotto i piedi. Sono nel giardino della mia casa d’infanzia, un uomo mi ha appena confessato quanto si può essere deboli nell’amare chi per natura non ti appartiene. Poi c’è River che è di nuovo qui e una bambina mi sta dicendo che non ha mai smesso di cercare la via di casa. Tutto questo è adatto a me. Magari è ordinario ma è come me. Non imparerò mai a dondolarmi sui fichi, non correrò nelle strade con lo zaino pieno di esplosivo, non farò mai giuramenti d’amore nelle acque torbide di una pozza.”

mercoledì 27 aprile 2022

The Northman, la vendetta vichinga di Amleth



Titolo originale
The Northman

Regia
Robert Eggers

Interpreti
Alexander Skarsgård, Anya Taylor-Joy, Willem Dafoe, Tadhg Murphy, Nicole Kidman, Ethan Hawke, Kate Dickie, Björk, Claes Bang, Olwen Fouéré 

Distribuzione
Universal Pictures 

Durata
136′

 


 “Vendicherò mio padre. Salverò mia madre. Ucciderò Fjölnir”. 

Ha solo trentotto anni Robert Eggers, il regista di The Northman alla sua prima grande produzione con Universal, dopo The Witch e The Lighthouse, e avete presente quegli affreschi giganteschi curati in ogni minimo dettaglio? Beh, questo film è proprio così, un dramma dagli echi shakespeariani: violenza, vendetta, amore, tradimento e redenzione, e poi ancora madri degeneri, streghe, destino, un corvo dai tre occhi. 

Tutti elementi che si intrecciano con la storia del protagonista Amleth (Alexander Skarsgård), che fugge a fronye del fratricidio perpetrato dal mezzosangue Fjölnir ai danni del re Aurvandill (Ethan Hawke), per poi tornare a cercare vendetta e riconquistare il trono, con l’aiuto di Olga, una donna slava ridotta in schiavitù interpretata da Anya Taylor-Joy

 La regina madre è Nicole Kidman, ma - attenzione attezione! - nel cast c'è anche Bjork in versione veggente, anche perché a scrivere il film con Eggers è stato suo marito Sjon. 



E ora i pro e i conto:

PRO
- Splendida ambientazione naturale (Islanda) 
- L’incredibile ricostruzione scenografica
- Incursione del cinema contemporaneo nella mitologia
- Tentativo di Eggers e dello scrittore e poeta islandese Sjon di fondere nello script una dimensione epica avventurosa più classica con quella più mistery horror
- Ossessione del regista per la verosimiglianza fino ai minimi dettagli
- The Northman riflette quello che c'è nella testa dei suoi personaggi, quindi la credenza agli dei nordici, al destino manifesto, alle leggende e agli oggetti magici 

CONTRO
Può diventare un papabile appoggio per le destre di tutto il mondo, con le loro teorie su sangue, patria ed onore . 

venerdì 19 novembre 2021

Se una notte d'inverno un viaggiatore.. si trovasse a fare un sudoko con Calvino


Titolo:
Se una notte d'inverno un viaggiatore
Autore:
Italo Calvino
Anno di pubblicazione:
1979
Genere:
romanzo 

La tua casa, essendo il luogo in cui tu leggi, può dirci qual è il posto che i libri hanno nella tua vita, se sono una difesa che tu metti avanti per tener lontano il mondo di fuori, un sogno in cui sprofondi come in una droga, oppure se sono dei ponti che getti verso il fuori, verso il mondo che t’interessa tanto da volerne moltiplicare e dilatare le dimensioni attraverso i libri. Italo Calvino

 

Qual è il desiderio di un Lettore? Leggere un romanzo, naturalmente. E dove finiscono le storie? E soprattutto, si può arrivare alla fine di una storia? 

Da queste premesse parte la vicenda del Lettore di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, che insieme alla Lettrice, per ragioni sempre differenti è costretto a interrompere la lettura del libro che sta leggendo e intraprendere la lettura di un altro. 

Un metaromanzo che, interrogandosi sulla stessa natura del romanzo, attraverso un gioco letterario riflette sulle molteplici possibilità offerte dalla letteratura. E il risultato più evidente di questo gioco ironico è la frase che si costruisce unendo i titoli dei dieci romanzi in cui incappa il Lettore, che costituisce essa stessa l'incipit di un altro romanzo:

Se una notte d'inverno un viaggiatore, fuori dell'abitato di Malbork, sporgendosi dalla costa scoscesa senza temere il vento e la vertigine, guarda in basso dove l'ombra s'addensa in una rete di linee che s'allacciano, in una rete di linee che s'intersecano sul tappeto di foglie illuminato dalla luna intorno a una fossa vuota – Quale storia laggiù attende la fine? – chiede, ansioso d'ascoltare il racconto.

Un’ulteriore dimostrazione che la ricerca del finale porta solo alla scoperta di altri libri, pur sempre incompleti, che il finale va immaginato e il compito di farlo spetta al lettore, più che allo scrittore. Insomma, leggere un libro vuol dire riscriverlo.

E negli intermezzi tra un libro e l’altro c’è la vita, quella vera, quella del Lettore e della Lettrice che stanno leggendo queste storie, che vivono insieme una storia d’amore e di lettura

lunedì 1 novembre 2021

FREAKS OUT E GLI SCAPPATI DI CASA COME NOI

Regia: Gabriele Mainetti
Genere: commedia, fantasy 
Sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Gabriele Mainetti 
Attori: Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi, Max Mazzotta, Franz Rogowski 
Musiche: Michele Braga, Gabriele Mainetti 
Produzione: Lucky Red, Goon Films, Rai Cinema 
Durata: 141’


 “Povertà, sfruttamento e abbandono sono le ferite di un Paese orfano di certezze. Il paesaggio desertico diventa metafora della vita di tutti i ragazzi privati di una famiglia e dei loro diritti. Attraverso gli occhi di un bambino, il film ci proietta nel profondo di una tragica realtà nella quale il protagonista ci mostra che affermare la propria identità è sempre possibile… Un’imprevedibile atmosfera conquista lo spettatore proiettandolo in un mondo tanto spettacolare quanto catastrofico. Tra tendoni da circo e campi da guerra quattro protagonisti, nella loro diversità, esprimono la necessità di essere umani. Un’opera innovativa e coraggiosa, che racchiude in una grande avventura fra sogno e realtà, tutto l’amore per il cinema”.
Motivazione al conferimento del Leoncino d’oro (Mostra del Cinema di Venezia)  

 

Una serata al cinema inaspettata, organizzata in quattro e quattr’otto, per un film ancora più inaspettato, Freak out di Gabriele Mainetti. Sì, perché dopo Jeeg Robot, da questo vendicatore del cinema italiano mi aspettavo tanto e ho ricevuto ancora di più.


Una sceneggiatura pazzesca, scritta da Mainetti a quattro mani con Nicola Guaglianone, che ha messo in moto in una Roma del ’43 dei personaggi straordinari oltre che pop: Matilde (Aurora Giovinazzo), la protagonista principale, una ragazza elettrica che non sa controllare i poteri che vede scatenarsi in lei appena prova sentimenti come ira, paura e amore; Cencio che sa manipolare gli insetti a proprio piacimento, interpretato da Pietro Castellitto, che recentemente ho apprezzato anche in La profezia dell'armadillo di Emanuele Scaringi, e che qui ritroviamo in versione albino; Fulvio, l’uomo scimmia forzutissimo ma anche gentile e intellettuale (Claudio Santamaria); e Mario, un nano che attira gli oggetti di metallo come una calamita (Giancarlo Martini). 
A capitanare questo gruppo di scappati di casa c’è Israel (Giorgio Tirabassi), mago e impresario ebreo del Circo Mezza Piotta, un circo magico senza animali che gira nella campagna romana.


La figura del nemico è invece impersonata da Franz (Franz Rogowski), un nazista tedesco con sei dita per mano capace di “vedere” il futuro, dote che lo ha reso celebre come pianista, permettendogli di rubare le canzoni dal futuro (Creep dei Radiohead e di Sweet Child o mine dei Guns N’ Roses), ma che lo ha anche reso consapevole del ruolo che poteva avere nello scongiurare l’imminente caduta del Reich: usa il circo che possiede par andare in cerca di mutanti dai superpoteri e poter così diventare un generale, come ha sempre sognato. 

Siamo nel pieno del conflitto mondiale e i quattro freaks con poteri misteriosi sono allo sbando dopo che Israel è scomparso mentre trovava il modo di portare il gruppo in America. 
Matilde decide di andarlo a cercare, mettendo in moto un vero e proprio viaggio dell’eroe, dove, insieme ai suoi amici, incapperà in mille avventure, per crescere e maturare, arrivando ad accettare e comprendere a pieno i suoi superpoteri. 
A questi “fenomeni da baraccone” si aggiungerà poi una banda di partigiani particolari capitanata da Max Mazzotta


Mi piace questo Gabriele Mainetti che con una gagliarda fiaba romanesca omaggia il neorealismo italiano (contaminandolo con il fantasy) e il grande cinema, tanto che dentro sembra di vederci almeno 50 film: c’è chi ci ha visto Il Mago di Oz (Matilde sarebbe Dorothy, con tanto di treccine e grembiule, Fulvio il leone, Mario l’omino di latta e Cencio lo spaventapasseri; chi ci ha trovato il Tarantino di Bastardi senza gloria, ma anche Fellini e Monicelli. 

Un Mainetti tutto fare: sua la sceneggiatura del film, scritta in collaborazione con Nicola Guaglianone da un soggetto originale di quest’ultimo, curatore delle musiche insieme al compositore Michele Braga. Una colonna sonora orchestrata da Emanuele Bossi, premiata con il Soundtrack Stars Award 2021 per la migliore colonna sonora tra i film in concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia in quanto “elemento protagonista e di assoluto rilievo all’interno del film, unendo elementi della nostra tradizione musicale a un sound più contemporaneo e passando anche attraverso le riletture di classici come Creep dei Radiohead, trasformata al pianoforte in stile Rachmaninov dal nazista esaltato Franz, o Bella Ciao, riletta in chiave avanguardista”


Unica pecca? L’eccessiva lunghezza, che comunque non ho sentito tanto perché coinvolta in quello che stava succedendo. Insomma, un grande tributo alla cultura pop in grado di dimostrare che il cinema italiano può essere anche altro. 

lunedì 25 ottobre 2021

A spasso con Benedetta tra la vita e la morte: un po' qua, un po' là


"La strada è l'unica salvezza", cantava Gaber, e bisogna tornarci per conoscere chi siamo. Da ragazzina lo ascoltavo e lo mettevo in pratica, standomene sempre per strada. Non sono certa che sapessi chi ero, ma la strada era comunque il posto in cui lo ero più spesso.
Emersione di Benedetta Palmieri 

Un libro dove l’anima si denuda davanti alla morte e ai ricordi che questa risveglia, andando a spasso tra le strade di una Napoli autentica, una città che è parte integrante della storia.


Scritto in prima persona, Emersione è il memoir di una ragazza che conosce l’amore e lo perde due volte: la prima quando la relazione non facile, fatta di gioia e sofferenza, finisce, la seconda quando lui si uccide.

È un romanzo inusuale, da leggere perché quella di Benedetta Palmieri è una narrazione pulita che ti accompagna in una dimensione quasi onirica in cui galleggiare nei ricordi della protagonista e del suo compagno, un susseguirsi di pensieri cupi ma intensi. E allo stesso tempo è il faticoso viaggio dell’eroe che affronta la morte del suo uomo, per emergere dalla propria di morte, quella specie di limbo in cui si era temporaneamente rifugiata. E tornare finalmente alla vita.

 Benedetta ti voglio bene!

domenica 10 ottobre 2021

Virginie Despentes: il segreto è non esitare.


"Ho fatto l’autostop, sono stata stuprata, ho rifatto l’autostop. Ho scritto un primo romanzo che ho firmato con il mio nome di ragazza, senza immaginare nemmeno per un attimo che quando sarebbe uscito mi sarebbero venuti a fare l’elenco dei limiti da non superare"
Virginie Despentes in King Kong Theory a proposito di Scopami.



Folgorante ed eccessiva, come tutte le sue opere che ho letto, Virginie Despentes è un’autrice francese con una storia e una voce eccezionale. All’anagrafe Virginie Daget, ma meglio conosciuta con appellativi come post-punk, anarco-femminista, transfemminista, sul suo passato si potrebbe scrivere un romanzo: nasce nel 1969 a Nancy in una famiglia della classe operaia, a quindici anni finisce in un istituto psichiatrico, a diciassette, dopo aver abbandonato famiglia e studi, è vittima uno stupro di gruppo, si trasferisce a Lione, studia cinema e inizia a prostituirsi occasionalmente in maniera volontaria. A Parigi diventa una squatter, oltre che commessa in un negozio di dischi, giornalista nei settori musicale e di cinematografia porno.


 

Si è imposta nel mondo editoriale underground punk transfemminista (un mondo di cui, prima di conoscerla, io ignoravo l’esistenza) con alcuni romanzi - tra cui Scopami, su cui ha girato anche un film -.un saggio autobiografico (King Kong Theory), e una trilogia (La trilogia di Parigi).

Le sue, più che essere parole, sono un azzardo fatto di neocapitalismo, di musica punk e rap, di acidi, antidepressivi, cocaina e alcool, in cui non c’è alcuna possibilità di redenzione.




E in Scopami ho trovato proprio un inno alla libertà individuale dove la Despentes ci mostra il mondo dal punto di vista di due donne erranti e dannate, che con urla e spari, alla fine di tutto, riescono finalmente a farsi ascoltare.

domenica 26 settembre 2021

Alce + Icelandic Ufo, tra danza e visione



ALCE + ICELANDIC UFO

Durata: 1 ORA
Di: Fabrizio Favale
Danzatori: Le Supplici/Fabrizio Favale: Vincenzo Cappuccio, Francesco Cuoccio, Martina Danieli, Francesco Leone, Claudia Gesmundo, Alessandro Giachetti, Shih-Ping Lin, Alessandro Piergentili, Andrea Rizzo, Valentina Staltari
Direttore di scena: Andrea A. La Bozzetta
Co-produzione: MILANoLTRE Festival/KLM – Kinkaleri/Le Supplici/mk

Due balletti pensati per la sezione Affollate Solitudini di MilanOltre 2021:

Bello il visionario assolo di Fabrizio Favale, coreografo e interprete di Icelandic Ufo, che ho visto al teatro Elfo di Milano proprio ieri sera. Era luce, era aria, era materia e il suo riflesso, era un ufo ma anche un pesce in un acquario da dove tentava di uscire. Unica pecca? La lunghezza e la ripetitività delle azioni. Siamo abituati alla velocità delle serie tv e di questo la danza dovrebbe tenerne conto.

Bellissimo anche Alce, una coreografia animata da bizzarre creature in tutina nera, che si muovono in un paesaggio innaturale, artefatto, seguendo lo stesso ritmo potente e alienante, quasi fondendosi tra loro e diventano un solo essere multiforme. Particolarità? E’ stato ispirato da una riflessione sulla pandemia e ci sta tutto.

lunedì 20 settembre 2021

Dune, Villeneuve e la fantascienza adulta

 



Ero titubante, sia per il Covid che per la durata e l’apparente pesantezza del film, ma alla fine al cinema ci sono andata lo stesso. Il film scelto? Dune, la pellicola di una fantascienza adulta presentata fuori concorso a Venezia 78 con cui Denis Villeneuve, riprova a mettere in scena un'opera complessa difficile da adattare, dopo i tentativi semifalliti di David Lynch e Alejandro Jodorowsky.

Sto parlando del romanzo fantascientifico di Frank Herbert, da cui il film è tratto. Pubblicato nel 1965 a fatica (il manoscritto passò per almeno venti case editrici ma nessuno lo voleva pubblicare perché trovavano la storia confusionaria e la prosa di Herbert poco scorrevole) il libro si è rivelato molto difficile da trasporre sul grande schermo, tanto per la complessità della trama quanto per i numerosi effetti speciali necessari.

In realtà nel libro, così come nel film. non è solo la storia che conta, è più l'universo creato in cui vieni come teletrasportato: la religione, la filosofia, la politica e l'ecologia si intrecciano nell'evoluzione dell'essere umano, dando vita a una faida eterna tra le nobili Casate galattiche degli Atreides e degli Harkonnen per il controllo di Arrakis, e della spezia che li viene coltivata, una droga in grado di sbloccare il più grande potenziale dell’umanità, ampliando le facoltà della mente umana e consentendo viaggi stellari.

Quindi, riassumendo, la lotta per il potere intrisa però di un senso di spiritualità fortissimo. Nonostante questo, numerosi sono stati i tentativi falliti di portare questa storia in scena: ci aveva provato Alejandro Jodorowsky (e il suo tentativo è diventato anche un affascinante documentario di Frank Pravich, Jodorowsky’s Dune, appunto, che esplora la genesi dell’adattamento del regista di culto Jodorowsky del romanzo di Herbert che però non vide mai la luce e restò incompiuto) così come David Lynch, che è riuscito comunque a dare vita a un film travagliato nella sua realizzazione, sfociato poi in un clamoroso insuccesso di critica e di pubblico nonostante il cast (Sting compreso).

E chapeau anche per il cast di Villeneuve, che, oltre a Rebecca Ferguson e Oscar Isaac, ha chiamato anche Timothée Chalamet a vestire i panni di Paul Atreides, l’eletto, attore che ha incredibilmente solo un anno in più di quelli che aveva Kyle MacLachlan nel Dune del 1984 di Lynch…

Belle le immagini (le riprese sono state fatte nella valle del Uadi Rum in Giordania per Arrakis e in Norvegia per Caladan) e magnifici i suoni di Hans Zimmer, che, si dice, avrebbe rinunciato a comporre la colonna sonora dell'ultimo film di Nolan, Tenet, per dedicarsi anima e corpo a Dune, scegliendo soluzioni musicali completamente inedite per dare alla pellicola un tratto distintivo (ha anche riarrangiato Eclipse dei Pink Floyd che è stato messo come sfondo del primo trailer del film, scelta non casuale, dato che alla storica band era stato affidato il compito di comporre le musiche della trasposizione mai concretizzatasi di Alejandro Jodorowsky).

E probabilmente non finisce qui, perché servirà un sequel per spiegare tutto, o forse due, chissà.

martedì 14 aprile 2020

Da Oh, boy! a Mio fratello Simple: l’ironia e leggerezza di Marie-Aude Murail


Titolo: Mio fratello Simple
Autrice: Marie Aude Murail
Traduttrice: Federica Angelini
Editore: Giunti
Collana: Tascabili ragazzi
Categoria: Narrativa
Pagine: 224
Data di pubblicazione: 23/05/2018
ISBN: 9788809867161




Titolo: Oh, boy!
Autrice: Marie Aude Murail
Traduttrice: Federica Angelini
Editore: Giunti
Collana: Waves

Categoria: Narrativa
Pagine: 192
Data di pubblicazione: prima edizione 2006
ISBN: 9788809877405







Adoro i libri per ragazzi, e ancora di più quelli per ragazzoni un po’ troppo cresciuti. Mi ci perdo dentro ora come un tempo, soprattutto quelli di Marie-Aude Murail.
A volte servono, per respirare un po’ di purezza e genuinità e un po’ di sentimenti così ovvi, ma così veri, gli stessi che nei libri “più seri” a volte è difficile trovare.
E d’altronde state parlando con una persona che si è vista 14 volte i Goonies, anche se la quattordicesima volta, lo devo ammettere, è stata un po’ obbligata visto che il 13 porta male.


Per questo in tempi di Covid 19, per prendere una boccata di aria fresca, mi sono buttata sui libri di Marie Aude Murail. Prima su Oh, boy!, poi ancora affamata di storie e sorrisi, su Mio fratello Simple.

Uno stile frizzante, quasi malizioso, che nasconde dietro entrambi i libri temi di interesse sociale come l'abbandono, la depressione, la difficoltà delle adozioni, l'omosessualità. Il tutto affrontato con grande ironia e con una scrittura leggera, andando a costruire un intreccio narrativo complesso ma divertente che non spaventa il lettore ma lo tiene stretto a sé con empatia e risate.


OH BOY!

Tre fratelli, un maschio e due femmine, orfani da poche ore. Sono i Morlevent: Siméon, l’intellettualmente superdotato; Morgane, la prima della classe molto attaccata al fratellino di cui gli adulti si dimenticano sempre; Venise Morlevent, lo zuccherino di 5 anni che tutti vorrebbero avere come figlia, che fa vivere delle torride storie d'amore alle sue Barbie.
Obiettivo: lasciare l'orfanotrofio dove sono stati parcheggiati e trovare una famiglia dove andare a vivere tutti e tre assieme. La soluzione potrebbe trovarsi in un fratellastro gay.


MIO FRATELLO SIMPLE

Simple, un bambinone ritardato mentale di 23 anni anagrafici ma 3 cerebrali, ha un fratello, Kleber, che vorrebbe difenderlo dal mondo ma soprattutto dall'istituto a cui era stato destinato dal padre. Quando i due fratelli trovano una sistemazione in un appartamento di giovani universitari, Simple, sempre accompagnato dal suo coniglio di peluche, il Signor Migliotiglio, diventa il catalizzatore di tutti i sentimenti che muovono i suoi coinquilini.

sabato 4 aprile 2020

L'amore contemplato davanti a un bicchiere di Gin: Raymond Carver

Titolo: Di cosa parliamo quando parliamo d’amore
Titolo originale: What we talk about when we talk about love?
Autore: Raymond Carver
Pagine: 134
Uscita in italia: 1987
“Sudarsi la vita rende miopi, costringe ad avvicinarsi molto alle cose per guardarle, toglie tempo, e soprattutto spazio, per guadagnare una distanza sufficiente a vederle da una prospettiva più ampia”.
«In effetti che ne sappiamo noi dell’amore? – ha proseguito Mel – Secondo me, siamo tutti nient’altro che principianti, in fatto d’amore»

Diciassette racconti brevi di amori appena sbocciati, amori finiti, di dimenticanze, di ossessioni. E in tutti, la sensazione di essere sospesi. Sospesi a guardare un amore che è stato e che non può più tornare, un pasticcere con una torta prenotata, un uomo che espone i suoi mobili per venderli, e poi ancora tradimenti e perdono e infine sospesi a guardare l’indifferenza di un gruppo di amici che continua a pescare in un fiume dove galleggia un corpo di una ragazza. Sospesi in attesa che qualcosa accada, come abbandonati proprio sul più bello, sospesi in attesa di un finale che invece non arriva mai.



Una scrittura essenziale quella di Carver, dovuta principalmente al suo editor Gordon Lish, che tagliava interi pezzi delle sue opere, vuoi per legittima revisione editoriale o vuoi per efferato delitto letterario.
Uno stile minimalista e stilizzato, dove le storie iniziano già a metà. Un linguaggio asciutto, scabro, quasi ordinario, ideale per dipingere l’amore nella grigia quotidianità, che non viene affrontato di petto come invece il titolo lascia intendere.

“Ci si dovrebbe vergognare quando parliamo come se sapessimo di cosa parliamo quando parliamo d’amore”. Perché l’amore ha mille facce, mille sfumature, mille dimensioni e quello di Carver è un amore contemplato davanti a un bicchiere di Gin, un amore senza un prima né un dopo, una divagazione: ci gira intorno, svuotando la parola di sostanza: forse l’amore è quello in nome del quale l’ex compagno di una delle due donne la picchiava fino a tentare di ammazzarla e poi di ammazzarsi mentre le dichiarava di amarla? O è quello del vecchietto scampato a un incidente che si dispera perché non riesce a vedere sua moglie attraverso le fessure degli occhi lasciate dal gesso che gli ricopre il volto.


Perché, come diceva proprio Carver, «Un buon racconto vale quanto una dozzina di cattivi romanzi».

mercoledì 18 marzo 2020

The Door in the Floor. E se fosse una recensione?


"Io ti ho assunto Eddie perché rassomigli a Thomas. Le ho regalato te".



Se fosse un dipinto?
Sarebbe Gli amanti di René Magritte

Se fosse un romanzo?
Sarebbe quello da cui è tratto: Vedova per un anno di John Irving.
Qui la citazione iniziale:
«...come a questa piccola signora,
la miglior cosa che possa augurarle
è una piccola disgrazia. »

Se fosse un vino?
Sarebbe un Cabernet Sauvignon: un vino complesso, molto aromatico, robusto e resistente a differenti condizioni climatiche ed emotive.

Se fosse un orario?
Sarebbe le 11:11 (am), perché dove c’è la luce c’è anche l’ombra...

Se fosse una serie di Netflix?
Oscillerebbe tra The Gift e Segreti nel tempo

Se fosse un disco?
Sarebbe Loveless dei My Bloody Valentine

Se fosse una frase dello script?
Sarebbe: “Lo spazzaneve tagliò la macchina quasi esattamente a metà”.

Se fosse un emozione?
Sarebbe curiosità, stupore, melanconia, sarebbe un wow, un ah, uno sticazzi, uno yeah e infine un ebeh.

Ho reso l’idea?

E.

mercoledì 9 ottobre 2019

I FUNERACCONTI: RIDERE, SORRIDERE E SOGGHIGNARE PERCHE' A MORTE STA NCOPP' A NOCE D'O CUOLLO


Titolo: I Funeracconti
Autore: Benedetta Palmieri
Casa editrice: Feltrinelli
Anno: 2011
Pagine: 144
Genere: Questo non è un libro, questa è una malinconica risata
Prezzo: 14,00 euro


Romanzo no. Raccolta di racconti no. Saggio no.
Inquadrare questo libro mi è risultato veramente difficile e alla fine ho deciso: questo non è un libro, questa è una malinconica risata liberatrice.


Ad essere più precisi è una raccolta di racconti, o meglio, di Funeracconti.
Ma aspettate a indignarvi per il tema trattato. Non è l’ennesimo libro che parla di tragedie più o meno realistiche: qui, con ironia e sarcasmo, viene raccontata la quotidianità vista dal versante più impervio, quello della morte e della paura di morire.


Così, racconto dopo racconto, ci si trova partecipi di un teatrino spassoso fatto di personaggi improbabili che danno vita alla morte, con seduzione, raffinatezza e meraviglia.
La morte di sconosciuti, come nel caso del presenzialista dei funerali, un appassionato di cerimonie funebri che partecipa alle esequie di gente che non conosce, annotando impressioni e suggestioni nel suo "curriculum mortis". Ma anche la morte di familiari vicini, come quella che è toccata a Maria Addolorata, la proprietaria di un’agenzia di pompe funebri con un semplice motto vincente alla base del suo volume di affari straordinario: "A ogni cerimonia il proprio stile". Senza dimenticare la morte dei fiori di appartamento, che per qualcuno, come Guadagno Percetti, può diventare “un interesse discreto, silenzioso e straordinario”. O la morte tout court, come quella celebrata dalla redazione di "Glamourt", da anni tra le sette riviste più eleganti elette da Death Charm, e due volte premio della critica ai Funerary Awards. Senza dimenticare la morte nella solitudine di chi rimane, che Luciana, "dama di condoglianza", cerca di quietare, o la morte come diversivo, come quella rappresentata da FuneraLand, il parco giochi dove ci si diverte da morire grazie a 16 funerali straordinari e 50 ettari di aldilà e dove anche i più piccoli possono prendere dimestichezza con la morte, in allegria e all’aria aperta. E poi, la morte che intossica la vita, come l’effetto che ha la collezione di rarissimi carri funebri di Gaeta’ sulla moglie.



Insomma, mi arrendo: Benedetta Palmieri, hai vinto, sei più pazza di me per sorridere alla morte con seduzione e raffinatezza, nonché una buona dose di scaramanzia e disincanto. Il tutto condito da una velata napoletanità che contribuisce a trasformare momenti tristi in situazioni comiche e teatrali, giocando con paradossi, luoghi comuni e con la meraviglia.

Perché “I morti sono vivi accanto a noi, e morti siamo noi che ancora viviamo; i santi sono più carne e sangue che spirito, e sono uomini morti pure loro, per questo li trattiamo pari a pari.”

lunedì 23 settembre 2019

IL MONDO NEGLI SCATTI DEL SONY WORLD PHOTOGRAPHY AWARDS



Info sulla mostra:
Titolo: Sony World Photography Awards
Location: Villa Reale di Monza, viale Brianza 1 – Monza
Orari: Da martedì a domenica: 10.00 – 19.00
Lunedì Chiuso
Quando: Dal 13 settembre al 3 novembre 2019


Grayson Perry - Birth
La vita che scorre in ogni parte del mondo, le tracce che lascia nel paesaggio e negli uomini stessi. 

Piccoli irrilevanti quanto importantissimi dettagli immortalati dai fotografi: un’esposizione interessante aperta fino al 3 novembre 2019 nella splendida cornice della Villa Reale di Monza delle foto vincitrici e finaliste dei Sony World Photography Awards, giunto alla dodicesima edizione.


200 fotografie selezionate tra una rosa di 326.997 candidature presentate da fotografi originari di 195 Paesi e territori, offrono una bellissima panoramica del mondo. E il titolo di Fotografo dell’Anno, il più ambito del concorso, è stato assegnato proprio al fotoreporter italiano Federico Borella.

Federico Borella - Five Degrees
Nella serie intitolata Five Degrees, presentata per la categoria Documentario, Borella va alla ricerca delle ragioni nascoste dietro alla piaga di suicidi maschili nella comunità agricola Tamil Nadu, nel sud dell’India. Queste morti potrebbero forse essere legate alla grave siccità che ha colpito il paese? Al riscaldamento globale? Alla difficoltà a ripagare i debiti contratti per avviare l’attività agricola, a causa del tempo avverso, di fattori economici o di una pessima gestione idrica del territori?.
Tra ritratti di soggetti immortalati in una natura per lo più malata, mi ha colpito molto la foto che ritrae il teschio di uno di questi contadini nella mano di un membro dell’Associazione Agricoltori dell’India del sud.
Insomma temi complessi legati a una realtà complessa, raccontati con una sensibilità e una potenza delle immagini travolgente unita a una grande varietà di tecniche utilizzate.

Marinka MasséusChosen [not] to be.
Belle le idee

Quella di Marinka Masséus, ad esempio, vincitrice nella categoria Creativa dei Professionisti con la sua serie Chosen [not] to be.

Mentre passando alla categoria Documentario, ho trovato molto belle le foto di
Mustafa Hassona, vincitore del terzo posto nella categoria Documentario con Palestinian Right of Return Protests.


Mustafa Hassona - Palestinian Right of Return Protests.

Bello lo storytelling dietro i progetti

Jasper Doest - Meet Bob 
Come quello di Meet Bob di Jasper Doest, al primo posto nella categoria Natural World & Wildlife della sezione Professionisti, che racconta la storia di Bob, un fenicottero che si è ferito gravemente planando per sbaglio contro il vetro di un hotel. Bob viene curato sull’isola di Curaçao, nel Mar dei Caraibi meridionale, ma è costretto a vivere in mezzo agli uomini poiché non è più in grado di vivere in libertà, integrandosi con loro e diventando un simbolo.

È possibile guardare gli scatti dei finalisti dei concorsi Professionisti e Student Focus all’indirizzo worldphoto.org/press, nonché partecipare alla nuova edizione del concorso: dal 4 giugno 2019 sono infatti aperte le iscrizioni per l’edizione 2020 dei Sony World Photography Awards. Maggiori informazioni si trovano sul sito del concorso.

"PELLE" di Erica Zanin

"PELLE" di Erica Zanin
Un romanzo in vendita su www.ilmiolibro.it

"PELLE", il mio primo romanzo che consiglio a tutti!

Siamo nella Milano dei giorni nostri, in quella zona periferica che da Greco conduce a Sesto San Giovanni. In un autobus dell'ATM, un autista, ormai stanco del suo lavoro, deve affrontare una baby gang che spaventa i suoi passeggeri. Si chiama Bruno ed è uno dei tanti laureati insoddisfatti costretti a fare un lavoro diverso da quello da cui ambivano: voleva fare il giornalista e invece guida l'autobus nella periferia di Milano. Ma non gli dispiace e non si lamenta. E' contento lo stesso: è il re del suo autobus e i suoi passeggeri sono solo spunti interessanti per i racconti che scrive. Li osserva dallo specchietto retrovisore, giorno dopo giorno, li vede invecchiare, li vede quando sono appena svegli e quando tornano dal lavoro stanchi morti, e passa il tempo ad immaginarsi la loro vita. Finché nella sua vita irrompe Margherita, con la sua vita sregolata, con i suoi problemi di memoria, con i suoi segreti. E tutto cambia. Fuori e dentro di lui.