Quando la parola si farà corpo
e il corpo aprirà la bocca
e pronuncerà la parola che l’ha creato,
abbraccerò questo corpo
e lo adagerò al mio fianco.
HEZI LESKLI, “Quinta lezione d’ebraico”
da I topi e Leah Goldberg
Titolo: Che tu sia per me il coltello
Autore: David Grossman
Traduzione: Alessandra Shomroni
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 1998
Pagine: 330
Editore: Mondadori – Oscar
"Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso“, da Lettere a Milena di Kafka
La scorsa settimana sono incappata in Che tu sia per me il coltello, il romanzo di David Grossman, lo scrittore israeliano da anni impegnato nella causa del pacifismo, dopo aver perso un figlio che prestava servizio militare di leva nel 2006 nel Libano meridionale.
Che tu sia per me il coltello è un'opera assolutamente originale per forme e linguaggi narrativi, tanto che viene considerato uno dei romanzi più sperimentali e difficili di Grossman, scritto nel 1998 ed è arrivato in Italia nel ’99 edito da Mondadori.
Un libro delicato e denso di particolari caldi, seducenti e veri e, al contempo, lento, anzi, lentissimo, nonché prolisso e noioso all'infinito, che ha generato in me sentimenti e reazioni contrastanti. Non nascondo infatti di aver provato una certa estraneità emotiva rispetto al racconto, un'estraneità dovuta alla dimensione "astratta" del libro, ma un'estraneità unita però a una connessione interna e intensa con i sentimenti di Yair e Myriam, i due protagonisti della storia.
Il loro è un rapporto esclusivamente epistolare e compresso dal punto di vista temporale in un determinato spazio, quello intercorso tra il giorno in cui Yair viene colpito dal tentativo di Myriam di isolarsi da una conversazione con un gruppetto di ex compagni di liceo e la fine della loro relazione epistolare, decisa da loro stessi per salvaguardare la purezza del rapporto.
E, infatti, l'intero libro è costituito da una serie di lettere con cui Yair e Myriam, entrambi sposati e entrambi con un figlio, rivelano reciprocamente loro stessi e le proprie vite tirando fuori la loro vera essenza: se per circa due terzi del libro scopriamo le loro storie solo attraverso la voce di Yair, la seconda parte è dedicata alle lettere che Myriam scrive quando Yair ha smesso di scriverle, coerentemente con quanto pattuito o in precedenza.
Pagina dopo pagina emergono cosi le personalità dei due protagonisti, Yair e Myriam e, sullo sfondo, sfumate, quelle dei loro cari, Maya e Yidò, Amos e Yochai (e Ana). E solo nelle ultimissime pagine tutta la tensione accumulata sembra venire rilasciata in maniera esplosiva, dapprima con il contatto telefonico e, in seguito, con l'incontro tra i due protagonisti.
Una storia dove sono i sentimenti a farla da padrone, perché nel rapporto instaurato tra i due non esiste vergogna, né pudore, né falsità, ma solo trasparenza, a volte dolorosa e tagliente, e profondità. Un libro dove non bisogna seguire una trama ma concentrarsi sulle parole e soffermarsi sull’importanza di ognuna di esse.
Perché un foglio di carta e una penna possono essere terapeutici e aiutare a capire molte cose.
"Myriam,
tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.
Ti ho vista l’altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamato “professoressa”. Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. È tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere delle lettere da me."
Da Che tu sia per me il coltello, Grossman
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