mercoledì 6 gennaio 2016

Quella sera dorata, il film perfetto per il tè delle 5


Regia: James Ivory
Attori principali: Anthony Hopkins, Laura Linney, 
Charlotte Gainsbourg, Omar Metwally, Hiroyuki Sanada
Titolo originale: The City of Your Final Destination
Genere: Drammatico
Durata: 118 min.
Uscita: Gran Bretagna, 2010



Se vivessi a New York dovrei fingere di interessarmi a tutto. Antony Hopkins

Quella sera dorata è una storia di sorvegliati rancori, di piccoli cinismi e di destini che si compiono all'insaputa dei protagonisti, un film «da tè delle 5» che sembra stato appositamente confezionato per annoiarsi con stile in un piovoso pomeriggio invernale.

Una pellicola dalla gestazione difficile visto che il regista californiano James Ivory ha impiegato quasi cinque anni per riuscire a trovare ispirazione e finanziamenti, dopo la morte di Ismail, compagno artistico e sentimentale di una vita. Alla fine però l'ispirazione è arrivata, grazie al romanzo Quella sera dorata dello scrittore americano Peter Cameron, nella cui complessità del testo il film di Ivory entra con un sapiente mix di fedeltà e di invenzione.

E subito mi domando perché il titolo del film sia stato tradotto in questo modo. Se infatti The city of your final destination è il titolo originale, così come è anche il titolo originale del libro di Peter Cameron da cui il film è tratto, Il titolo italiano è Quella sera dorata, tanto per il film quanto per il libro. Eppure nel film non c'è traccia delle parole cui fa riferimento il titolo che si trovano invece nel libro, nascoste tra i versi della poesia Santarém di Elizabeth Bishop, che introducono la seconda parte del libro, nella quale il protagonista Omar scrive un saggio critico sulla Bishop:

That golden evening I really wanted to go no farther; 
more than anything else I wanted to stay awhile

Quella sera dorata non volevo proprio andare oltre; 
più di ogni cosa volevo restare un po'


La trama è incentrata sulla storia di un giovane borsista iraniano-canadese della University of Colorado (Omar Metwally) che compie un viaggio in un piccolo ammaliante paese sudamericano, l’Uruguay, per convincere una strana famiglia di intellettuali a concedergli l'autorizzazione a scrivere una biografia dello scrittore Jules Gund, morto suicida dopo aver pubblicato il suo unico romanzo. Il lavoro gli servirà per avere un ambita borsa di studio.

Istigato dalla petulante e algida fidanzata Deirdre, che vuole per lui una carriera di successo, Omar piomba in quel piccolo gruppo di familiari dello scrittore, rifugiati in una vita immobile e avulsa dal mondo esterno e contrari chi più chi meno alla sua intrusione: da Caroline (Laura Linney), la moglie insoddisfatta, ad Arden (Charlotte Gainsbourg), l'amante giovane e fragile da cui ha avuto una deliziosa bambina, da Adam (Anthony Hopkins), il fratello omosessuale al di lui amante/compagno della vita, Pete (Hiroyuki Sanada), che ha portato adolescente a condividere una vita reclusa, scelta dai genitori dello scrittore, in fuga dalla Germania nazista.

Tutti sembrano sospesi in un cerchio magico, in cui sono capitati per caso, rintanati in una casa di campagna in cui continuano a sopravvivere antichi rancori, circondata dall'incanto del paesaggio dell'Uruguay letterario e magico di Peter Cameron.
Un Sudamerica raccontato da Ivory in modo vivido e realistico, dove anche i ricchi sembrano giunti al capolinea e dove la vita degli abitanti è un pallido riflesso della vita passata. E Omar sembra perfettamente in sintonia con questo luogo fuori del tempo e dello spazio, dove la storia si è fermata e la sua presenza funziona inconsciamente da detonatore delle dinamiche fino allora velate.

La magnifica ambientazione e i fiumi di whisky sullo sfondo di una natura che assorbe e condiziona ogni cosa regalano numerosi spunti di riflessione: dal dilemma se vivere in uno splendido luogo isolato o nella grande città, alla scelta tra civiltà e natura, dall'isolamento e partecipazione alla storia al rapporto tra destino e scelte personali, tra sentimenti e ambizioni.


Un film esteticamente bello e emozionante, nonché elegantemente noioso, in cui oltre al tono leggero e insieme annoiato di certe commedie sofisticate, emerge chiaramente l'estetica e l'atmosfera tipica del regista, quell'"Ivory touch", che conferisce un 'aria aristocratica e patinata alle sue pellicole, ai dialoghi letterari e all'impianto teatrale, sfarzoso e ricercato.

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Siamo nella Milano dei giorni nostri, in quella zona periferica che da Greco conduce a Sesto San Giovanni. In un autobus dell'ATM, un autista, ormai stanco del suo lavoro, deve affrontare una baby gang che spaventa i suoi passeggeri. Si chiama Bruno ed è uno dei tanti laureati insoddisfatti costretti a fare un lavoro diverso da quello da cui ambivano: voleva fare il giornalista e invece guida l'autobus nella periferia di Milano. Ma non gli dispiace e non si lamenta. E' contento lo stesso: è il re del suo autobus e i suoi passeggeri sono solo spunti interessanti per i racconti che scrive. Li osserva dallo specchietto retrovisore, giorno dopo giorno, li vede invecchiare, li vede quando sono appena svegli e quando tornano dal lavoro stanchi morti, e passa il tempo ad immaginarsi la loro vita. Finché nella sua vita irrompe Margherita, con la sua vita sregolata, con i suoi problemi di memoria, con i suoi segreti. E tutto cambia. Fuori e dentro di lui.