Sfrontata e sensuale, ma al contempo fragile e vana. È il ritratto che emerge da soggetto-oggetto principale delle fotografie, l’autrice stessa, Francesca Woodman, figlia d’arte, nata nell’aprile del 1958 e morta suicida a soli 22 anni.
Pochi anni di intenso lavoro in cui portare avanti una ricerca interiore ambientata in spazi naturali e in scalcinati ambienti domestici, rappresentati in una dimensione di intimità resa dal bianco e nero.
Nelle inquadrature, in cui nulla viene lasciato al caso, accanto a qualche oggetto di scena compare quasi sempre Francesca, modella di se stessa, perlopiù in versione acefala.
Il risultato è struggente.
L’occultamento del volto e con esso di una parte della propria identità (reso attraverso la scelta di determinate inquadrature o mediante l’uso di maschere e sfumature), conduce per mano, fino al punto in cui riusciamo a scorgere il Sé nel momento esatto in cui si dissolve nello squallore di una stanza.
Bello da piangere.
“Than at one point I did not need to trenslate the notes, they went directly to my hands”.
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